Alila
L'ultimo film di Amos Gitai sembra che parli di semplici storie in un condominio dove passano tante vite diverse. Ma invece dice molto di più.
La storia del film, anzi le storie, si intrecciano fino a rivelare sentimenti complessi: Hezi compra un appartamento per poter fare l'amore con la sua amante Gabi, ma quello che nasce come un gioco, ovviamente si complica; Ezra è fiero del figlio che parte militare, ma questo dopo pochi giorni diserta; Mali, l'ex moglie di Ezra amoreggia con Ilan che forse è solo di passaggio. Oltre a questi personaggi ce ne sono altri, altrettanto importanti nell'economia del racconto, che appartengono ad un'umanità variegata che ha dell'eccezionale proprio per la sua diversità.
La sensazione più forte che si ricava dal racconto è che ognuna di queste vite ha un bisogno estremo di tranquillità, anzi di pace. Sembra come se ognuno fosse perseguitato sempre: Mali dal suo ex marito; Ezra e i suoi lavoratori clandestini dalla polizia; Eyal, il figlio, dall'esercito; Schwartz, un sopravvissuto all'olocausto, dai ricordi dei campi di sterminio. Sono ritratti che sembrano estranei a tutto, ma che invece sentono tutto il dolore che quotidianamente debbono affrontare. Anche i personaggi, in un certo senso minori, sentono questo senso di precarietà: Aviram che vive solo, con il suo cane; la cameriera filippina di Scwartz che suona Schubert al pianoforte ed è così lontana da dove è nata, sicuramente per fuggire altri dolori; la poliziotta che ogni singolo istante dà di matto. Insomma un mondo dove la tranquillità sembra non esistere. Però alla fine c'è un riscatto: la possibilità di un cambiamento che va di pari passo con il cambiamento del paese.
Quando c'è la guerra chi ci rimette è soltanto la gente normale, non certo chi la guerra l'ha scatenata. Ed è per questo che tutto il film è scandito da notiziari che rendono conto degli attentati palestinesi e dei raid israeliani, entrambi forme infami di voler dimostrare qualcosa. E la gente deve vivere in una situazione che non ha mai chiesto. Tutto per le idee di pochi.
A livello tecnico il film è ineccepibile. Composto interamente di piani sequenza lunghissimi e molto particolari. C'è anche la trovata originale di narrare i titoli di testa come sé il regista stesse conversando con il pubblico.
Amos Gitai sembra voler dire che c'è un'umanità dimenticata che vive la sua vita con le emozioni di tutti: l'amore, il dolore, il ricordo. Non importa che questi siano israeliani, palestinesi, cinesi, filippini. Quello che importa è che ci sia una presa di coscienza per accorgersi che comunque sia, tutto questo è vita.

Renato Massaccesi

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