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Autore Chris Cunningham
Bash84

Reg.: 28 Dic 2005
Messaggi: 446
Da: Ascoli Piceno (AP)
Inviato: 13-04-2006 21:04  
Chris Cunningam ha iniziato disegnando il fumetto fantascientifico Judge Dredd, coltivando i caratteri futuristici e grotteschi che hanno fanno di lui un artista e un genio. Dai più è conosciuto come regista di videoclip, diretti per artisti come Bjork, Madonna o i Portish head, ma la sua firma ha segnato la storia del cinema, del marketing e dello spettacolo (dalla collaborazione con Kubrick per gli androidi di A.I. alla pubblicità per la Play Station con la ragazza-alieno). La sua capacità visionaria ci catapulta in futuri stranianti, o ci fa vedere il presente con nuovi (angosciati) occhi, corpi che emergono dall’ombra, parti anatomiche svelate da fasci di luce, bagliori nell’oscurità (come nel cortometraggio “Flex”, il rapporto tra i sessi in una sconcertante collusione di violenza e delicatezza), corpi che si muovono sinuosi o arrancano come automi. Corpi che superano i loro confini fisici per fondersi in astrattezze biomeccaniche. Ci sono sentori dei grandi sperimentalisti del passato, da Richter a Ray, con paranoie alla Deren, unite a suggestioni postmoderne e gigeriane; Cunningham spazia da i droidi umanizzati (All is full of love – Bjork) ripresi classicamente, a montaggi frenetici esasperati, a lunghi piani sequenza, al buio che diventa protagonista per lunghi secondi, a luci e colori che balenano (ancora Flex). La sua arte resta poco conosciuta alla massa (che raramente si interessa ai registi di videoclip) ma amata e odiata dalla critica: incerta se collocarla nella sfera cinematografica o nell’ambito della video-art e della digital-art (qui in Italia ha partecipato alla biennale esponendo l’indefinibile “Monkey drummer”).
Il culmine (a mio parere) della sua espressione artistica si ha con la collaborazione con il musicista Aphex Twin (Richard D. James) dalla quale nascono veri e propri capolavori (è riduttivo chiamarli videoclip), come “Window Licker” o “Come to daddy”, nei quali immagini e musica (per molti inascoltabile) esplodono all’unisono come un unico incubo. L’ultimo capolavoro della coppia si chiama “Rubber Johnny”, girato quasi interamente agli infrarossi. Johnny è un bambino deforme inchiodato segregato in un ripostiglio buio e seviziato dai suoi genitori. Ma quando la porta si chiude e svanisce anche la luce intermittente di un neon, il buio e lo stanzino claustrofobico vengono saturati dalla fantasia violenta e frenetica del bimbo, la sedia diventa un mezzo spaziale e il corpo paralitico diventa una forma convulsa che si destreggia tra i raggi lanciati dal suo orrendo cagnolino. Una fantasia che è una farfalla in un corpo crisalide, un opera cruda, angosciante, ma anche piena di poesia. Sogni violenti che terminano in una successione di facce che si schiantano su un vetro, come mosche su un parabrezza... forse a simboleggiare la fisicità ineludibile della gabbia in cui Johnny è rinchiuso. Il tema quanto la forma hanno suscitato una sporadica ma sentita ammirazione, contrapposta ad un mare di polemiche e censure. Per qualcuno Cunningham è un maniaco perverso, un sadico, che mette una dietro l’altra sequenze di immagini raccapriccianti. Per me è un artista, un grandissimo artista. Vi consiglio di procurarvi (con ogni mezzo) le sue opere, e vi chiedo di farmi sapere cosa ne pensate.

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