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John Milius, il fascista dietro alla cinepresa |
alex82
 Reg.: 19 Giu 2004 Messaggi: 1068 Da: Volpago del Montello (TV)
| Inviato: 30-09-2004 15:56 |
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John Milius: il fascista dietro alla cinepresa
Appartenente a quella generazione di giovani registi destinati a segnare per sempre il volto di
quella New Hollywood dei primi seventies (Coppola, De Palma, Spielberg, Lucas, Scorsese...),
John Milius (1946) è forse il più misconosciuto regista americano dotato degli ultimi trent'anni.
Ottimo sceneggiatore prima ancora che regista, grande estimatore del cinema western di Ford,
Milius è fondamentalmente un eccezionale narratore. Il respiro epico-narrativo di gran parte
della sua opera rende alcuni suoi film dei veri e propri piccoli e grandi capolavori del cinema
americano anni '70 e '80, opere oggi forse superate nei contenuti e nello stile, probabilmente
non valorizzate appieno da critica e pubblico al momento dell'uscita, in parte rivalutate poi.
Come molti altri movie-brats, ovvero giovani cineasti esplosi e consacrati nei seventies, John
Milius inizia a fare i primi passi ad Hollywood facendosi conoscere come sceneggiatore:
risalgono, infatti, alla fine degli anni '60 le prime stesure degli screenplays di "L'uomo dai Sette
Capestri" (John Houston, 1972), "Corvo Rosso Rosso Non Avrai Il Mio Scalpo" (Sydney Pollack,
1972), "Ispettore Callaghan: Il Caso Scorpio E' Tuo" (Don Siegel, 1973) e la primissima,
embrionale versione di "Apocalypse Now" (Francis Ford Coppola, 1979), con cui poi lavorò
collaborando con lo stesso regista. Pure appartenenti a questo periodo furono i suoi primi
cortometraggi, di cui il più famoso è "Marcello I'm So Bored", racconto d'animazione di poco
più di sette minuti...
Tutto ciò può apparire poca cosa, per il momento, ma il regista a questo punto entra negli anni
settanta come un promettente filmaker dalla visione personale, forte, ribelle e malinconica. Ogni
sua opera, che sia un semplice soggetto o un lungometraggio completo, è pregna di un classi
cismo fordiano elaborato in maniera più semplice e squadrata, più audace e impattiva. Gli
ingredienti della sua poetica ci sono già tutti, o quasi, in questi primi lavori: un eroe, ovvero un
individuo dotato di estrema volontà, forza interiore, coraggio e umorismo nero, un avversario
temibile (sia una persona che un elemento naturale), un contesto spaziale estremo, quasi mai
civilizzato, fuori dal tempo e dalla storia, una guerra da combattere (che sia una vera e propria
guerra, o lotta per la sopravvivenza, o una sfida...), la creazione del mito e dell'elegia attorno
all'eroe, che sempre vincerà, ma sempre perdendo qualcosa.
Al servizio di questi contenuti c'è l'elaborazione di una forma e di un linguaggio personalissimi,
caratterizzati innanzitutto da un montaggio molto attento alla ritmicità della narrazione, da una
fotografia e da una musica quasi sempre volti a massimalizzare la liricità degli eventi (le compo
sizioni di Basil Poledouris furono sempre perfette allo scopo!) e da dialoghi spesso imbevuti di
una ideologia (che vedremo mano a mano) nemmeno troppo velata.
Il primo lungometraggio del regista originario di S.Louis, Missouri, fu "Dillinger" (omonima
traduzione in italiano), del '73, storia del leggendario gangster (John Dillinger, appunto)
specializzato in rapine di banche, che negli anni '30 terrorizzò l'America, fino alla morte per
mano del suo determinato e feroce antagonista: il commissario FBI Melvin Purvis. Film
violentissimo per l'epoca, aspramente criticato per questo, oggi appare molto stilizzato nel plot,
nei dialoghi e nelle scenografie. Ma fu indubbiamente la prima vera espressione, sul grande
schermo, della sua concezione di cinema e della sua mistica del superuomo e dell'America
perduta. Perchè infatti l'intento di celebrare e mitizzare l'eroe (buono o cattivo in questo caso
poco importa) è palese: "Io sono immortale!" grida Dillinger (Warren Oates) ad un certo punto.
Anche in tempo di pace, Milius fa sempre combattere una guerra ai suoi eroi, e il pari disincanto
con cui descrive i due antagonisti fa capire quanto per lui sia più importante il fascino della
lotta e dell'espressione di forza (manifetate qui con scene piuttosto sanguinarie e sensazionali)
rispetto a qualunque interpretazione psicologica o morale dei personaggi e delle loro vicende.
Infatti, si può quasi azzardare che lo spettatore alla fine del film si identifichi con il gangster e si
dispiaccia della sua morte.
Nel 1975 Milius dirige "The Wind and The Lion" (Il Vento e Il Leone), con Sean Connery,
Candice Bergen e Brian Keith, ispirato a un fatto storico realmente accaduto. Ambientato in
Marocco nel 1904, è la storia del rapimento di una giovane vedova (Bergen) con due figli al
seguito da parte di uno sceicco berbero (Connery). Il presidente Roosevelt (Keith) risponde
inviando un contingente di marines per liberarli, ma col vero scopo fondamentalmente di
prepare l'occupazione americana del Marocco. Considerato da alcuni critici uno dei migliori
film romantici d'avventura degli anni '70, "Il Vento e Il Leone" è probabilmente l'opera preferita
del regista. La sua poetica raggiunge qui la completezza e l'identità che distingueranno d'ora
in poi tutto il suo cinema, dai temi trattati alle soluzioni formali e stilistiche. Il film si basa essen
zialmente e ancora una volta su una sfida: quella tra il romantico e tenebroso brigante berbero
e il duro presidente cow-boy Theodore Roosevelt. La sfida resta per tutta la durata del film
solamente a distanza, e la vera lotta (quella in senso letterale) avverrà solo alla fine, paradossalmente
tra lo sceicco e un capo militare tedesco, in un ambiente e in circostanze che ricordano
fortemente l'assalto finale de "Il Mucchio Selvaggio" di Peckinpah. Comunque Milius, come già
in "Dillinger", riesce a delineare due eroiche figure contrapposte, il cui denominatore comune
è la forza (interiore ed esteriore), la lealtà e l'onore. Tramite il personaggio del presidente, inoltre,
riesce a comunicare il nocciolo ossessivo della sua poetica nella maniera più semplice possibile:
le parole. E le immagini. Quelle che meglio incarnano i suoi ideali; una delle più significative: l'orso.
"L'orso è l'incarnazione dello spirito americano. Forza, audacia, intelligenza, solitudine. Rappresenta
noi americani: il mondo ci rispetterà, ci temerà forse, ma non ci amerà mai. L'orso dovrebbe essere
il simbolo dell'America, altro che quella ridicola aquila, un avvoltoio in posa di damerino!". Di qui
alcuni critici (bello l'articolo di Alberto Morsiani su Cineforum n°423), guardando all'intera opera
miliusiana, coniarono un'espressione per descrivere il suo cinema: la mistica dell'orso Grizzly!
(già dai primi western, solo scritti, l'orso è presente e rappresentato con quella accezione, in "Un
Mercoledì Da Leoni" ci sarà un personaggio di nome Bear, Conan si vestirà con pellicce d'orso,
tutti i protagonisti e gli eroi dei suoi film presentano l'aspetto di grossi e minacciosi plantigradi; è,
dunque, indubbiamente l'orso l'animale-simbolo del cinema di Milius, l'unico ad avere un rapporto
privilegiato con la terra ((e il mondo)) così come egli vorrebbe che fosse: selvaggia, estrema, pura)
Il mito nicciano del Superuomo e darwiniano della sopravvivenza, sono le principali fonti d'ispirazione
della poetica e della concezione di cinema, rielaborati ovviamente con lo stile di Milius, cioè con
più o meno evidenti influssi di sano e romantico americanismo, con spesso una certa ampollosità
e mancanza d'ironia, con un leggero pessimismo e con un senso del dramma il più delle volte
aprioristico, cioè non dovuto a un'evoluzione degli eventi.
Visivamente "Il Vento E Il Leone" si presta perfettamente all'esaltazione di questa poetica: gli scenari
deserti e incontaminati e la presa con lunghe e grandiose panoramiche, le scene d'azione (i
combattimenti a cavallo sulla spiaggia, la marcia verso l'ambasciata) quasi tronfie di compiacimento,
sono elementi tipici del cinema di Milius.
Nella seconda metà dei '70 il regista lavora assiduamente alla sceneggiatura di "Apocalypse Now",
ma presto viene affiancato da colui che lo dirigerà poi, con grandi vicissitudini: Francis Ford Coppola.
Ma nella sua testa già ronza l'idea di un nuovo film, una specie di autobiografia e di tributo a uno
sport, una cultura e un'epoca che segnarono profondamente la sua giovinezza. Ma "Big Wednesday"
(Un Mercoledì Da Leoni, 1978) è anche molto di più di questo. Ambientato in quattro precise epoche
storiche (spensieratezza post rock-roll 1962, minaccia del Vietnam 1965, quiete dopo la tempesta
1968 e una maturità inevitabile 1974) corrispondenti a quattro famose mareggiate avvenute nelle quattro
diverse stagioni, è la storia di tre amici surfisti alle prese con la storia e la maturazione interiore. E'
sicuramente il masterpiece di Milius, un'opera struggente, appassionante, nostalgica, drammatica;
vi sono tutti gli elementi della poetica del regista, e ancora è un inno all'amicizia (specialmente quella
virile), è una profonda rilflessione sul tempo e sulla sua forza ineluttabile, ma allo stesso tempo è
ironia (qualità rara per il cineasta) nei confornti della storia (l'indimenticabile sequenza della visita
militare!), è il punto più alto dell'animismo latente nel regista.
Visivamente è straordinario, alcune sequenze di surf sono entrate nella storia e non furono nemmeno
superate da film più recenti come "Point Break" (lo stuntman dopo due tubi si rifiutò di fare altre
riprese perchè rischiava veramente di affogare!), la fotografia eccezionale e la musica, come sempre
a cura di Basil Poledouris, struggente e drammatica.
Paradossalmente al botteghino fece un flop disastroso, tant'è che Milius ci rimise parecchio a riprendersi,
pensando addirittura di abbandonare il mestiere e arruolarsi nella legione straniera. In certa misura
l'insuccesso di "Big Wednesday" è da imputare alla quasi contemporanea uscita nelle sale di altri due
film sicuramente validi e celebratissimi fin da subito: i kolossal "Star Wars" e "Incontri Ravvicinati del
Terzo Tipo", grandi opere di fantascienza (che allora stava vivendo un ottimo periodo) girate, guardacaso,
dai due dei suoi colleghi e amici degli albori: Lucas e Spielberg.
Ma la verità fu che "Big Wednesday" non fu capito e quindi apprezzato, nè dalla critica nè dal pubblico.
Era un film inattuale (come tutti quelli di Milus si potrebbe dire...!), individualista, amorale, nostalgico e...
di destra! Sì, perchè qui iniziano i primi chiari segni di quella che sarà la sua esplicita ideologia
politica che egli poi, in modi e in misure diverse, rappresenterà sul grande schermo. Una battuta su tutte:
Matt nel '68 è al bar con la compagna Peggy, in quello che era stato fino a poco tempo prima il ritrovo
di sempre:
Matt: "Due panini al formaggio e due coke"
Gestore: "Ho paura che non possiamo servirvi"
Matt: "Che vuol dire?"
Gestore: "Non serviamo piatti freddi! E' scritto lì, perchè non leggi? Guarda!"
Matt: "Allora solo due coke" (seccato)
Gestore: "Sii...ma non vorrei che ti rovinassi, fratello"
Matt: "Hei! Io non sono tuo fratello e abbassa quella musica balorda!" (musica orientale)
Gestore: "Buono fratello, buono"
Da qui in poi iniziarono, ovviamente, le prime illazioni e i nomignoli che la stampa specializzata e
non si divertiva ad appioppargli, come "Nazista del surf", "regista fascista" ecc...
Comunque "Big Wednesday" fu riscoperto e valorizzato, ma solo parecchi anni dopo, da principio
dalle compagnie di surfisti, per i quali Milius assurse a vero e proprio simbolo, poi anche dal grande
pubblico. L'home video, inoltre, è riuscito col tempo a compensare le perdite economiche avute
al botteghino.
Il 1981 è l'anno di un altro grande lavoro del cineasta americano: "Conan The Barbarian" (Conan
Il Barbaro), tratto da un romanzo di Robert E.Howard e con protagonista l'allora giovanissimo
Arnold Schwarzenegger. Conan è un guerriero cimmero, nato in un mondo presistorico dominato
dagli elementi, al quale un malvagio re uccide barbaramente la famiglia. L'intera esistenza di
Conan diventa dunque tentativo e volontà di vendetta, un'avventura fuori dal tempo tra mille insidie
da superare e mille nemici da battere, per arrivare al gesto di supremo appagamento e al potere.
Qui la storia, tanto ripudiata da Milius, è addirittura lasciata in disparte, il setting è sempre più
estremo e assoluto, gli elementi della natura quasi dialogano con i personaggi (occorreva giusto
la mitologia per questo!), la concezione di individuo, sempre e comunque da solo contro tutto e
tutti, raggiunge qui il suo culmen. Il mito della forza e il rifiuto di ogni modernismo, causa di
debolezza o mediocrità, sono estremamente espliciti, dichiarati. Già dalla citazione nicciana
d'apertura "Ciò che non ci uccide, ci rende più forti".
L'enfasi di certe sequenze (i combattimenti, il viaggio di Conan per le lande desolate) è davvero
molta, il senso di solennità della scenografia e della fotografia di tutta la parte finale del film (bella
davvero la sequenza in notturna..) - cioè ciò che fa da scenario all'atto di vendettae deposizione
dell'antagonista - è notevole.
Tre anni dopo "Conan", Milius torna sul grande schermo con un film davvero azzardato, seppur
originale nell'idea di fondo. "Red Dawn" (Alba Rossa, 1984) è la concretizzazione su celluloide
della più grande psicosi collettiva della storia americana del dopoguerra: un'invasione comunista!
Russi e cubani, una mattina di un normalissimo giorno della settimana, sferrano il più grande
attacco dal cielo che la storia ricordi. Gli States dell'ovest sono completamenti invasi e occupati
da centinaia di migliaia di truppe piovute dal cielo: è la terza guerra mondiale. Ma in una scuola
di provincia un gruppetto di ragazzi reagisce e prepara la resistenza sui boschi, giurando col
sangue di cervo di non arrendersi mai. Nonostante storicamente la vicenda risulti decisamente
fantasiosa e ideologicamente non attendibile, nonostante molti dialoghi siano imbevuti di pesante
retoricae nonostante emerga un anticomunismo cieco, "Red Dawn" si salva per essere un buon
film d'azione (ottima la sequenza iniziale dell'arrivo dei paracadutisti) e per approfondire certi
aspetti cari alla poetica di Milius: l'importanza dell'amicizia e dell'appartenenza a un branco la
cui solidità dev'essere proporzionale alla gravità del male esterno.
In ogni caso fu un colpo duro per Milius: critica, studio-system e opinione pubblica ci andarono
a nozze; un film come "Red Dawn" non poteva non valergli l'etichetta di fascista, specialmente
in un periodo in cui il "politically-correct" alla Spielberg andava tanto di moda...
Dopo aver diretto un episodio di "Ai Confini della Realtà" (Opening Day), arriviamo così al 1988,
anno in cui John Milius sforna il suo ultimo vero film tra quelli più significativi: "Farewell to the King"
(Addio al Re), con Nick Nolte. Trasposizione cinematografica di "Adieu au roi" del francese
Pierre Schoendoerffer, racconta la vicenda di un sergente americano, Learoyd, in missione in
Borneo, il quale nel '42 diserta e si lascia accogliere da una tribù autoctona autoproclamandosi re
e creandosi un piccolo paradiso fuori dalla civiltà. Un eden tuttavia destinato a finire.
Film ricchissimo di tematiche, non privo di citazioni cinematografiche colte, come indubbiamente
"The Searchers" (Sentieri Selvaggi) di Ford (per vicenda e sviluppo), o "Apocalypse Now", dal regista
stesso scritto parecchi anni prima (per il personaggio indomito autoesclusosi dalla civiltà). In "Addio
al Re" abbiamo sempre una natura selvaggia e pura (la foresta) da una parte e un nemico (la storia
e i suoi rappresentanti) dall'altra pronto a usurparla. Learoyd è un altro dei suoi tipici eroi: nobile,
impavido, superiore, e l'esaltazione della virilità (e della necessità di una conferma di essa) che a
volte appare qui e là nei suoi vari personaggi, stavolta è testimoniata da una battuta interessante
quanto autocompiaciuta: "Quegli uomini vivono in modo nobile: qui è essere uomini che conta, non
la vita!". E ancora il tema della sfida: Learoyd dovette sfidare un guerriero autoctono per accedere
al trono, e il duello assume nella resa visiva contorni fiabeschi. La camerateria di "Red Dawn" è
ancora presente qui, quando i soldati partono cantando per affrontare il nemico, i giapponesi, con
dei movimenti corali tipici del più classico cinema fordiano.
E poi ancora una volta l'ideologia: il suo anticomunismo sistematico si legge qui, dalla bocca di
Learoyd, con un pizzico di ironia: "Solo un comunista avrebbe potuto farsi re!"
Da qui in poi il declino di John Milius divenne lento ma inarrestabile. Nel 1990 dirige "Flight of the
Intruder" (L'ultimo attacco), film bellico ambientato nella guerra del Vietnam, con "eroismi vecchio
stile" (Morandini) ma poca convinzione.
La sua inattualità e il suo estremismo nelle visioni e negli ideali, segragano Milius ai margini di
Hollywood, e gli permettono di lavorare poco e più che altro per la televisione: del '94 è "Motorcycle
Gang" e del '97 "Rough Riders". Una sceneggiatura di rilievo è invece quella per "Geronimo" nel
'94.
Come si vede quello di John Milius è un cinema particolare, senza dubbio fortemente personale
e scaturito per almeno vent'anni, nel bene e nel male, da una precisa visione storica e culturale.
Un cinema enfatico e solenne, che usa sovente le strutture narrative di una fiaba (come la voce
fuori campo), grandioso e nostalgico, ribelle ed estremista, malinconico e spietato. In ultima
analisi spesso scomodo. E per quest'ultima ragione in buona misura misconosciuto o rifiutato.
_________________
- internet + cabernet:
bibere humano est
[ Questo messaggio è stato modificato da: alex82 il 30-09-2004 alle 19:25 ] |
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vietcong
 Reg.: 13 Ott 2003 Messaggi: 4111 Da: roma (RM)
| Inviato: 02-10-2004 16:28 |
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mi hai fatto davvero venire voglia di vedere 'Il Vento e il Leone', film che già mi incuriosiva da tempo.
Ottimo intervento, complimenti, purtroppo non conosco il Milius regista quasi per niente (forse Conan), ma rimedierò.
_________________ La realtà è necessaria a rendere i sogni più sopportabili |
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liliangish
 Reg.: 23 Giu 2002 Messaggi: 10879 Da: Matera (MT)
| Inviato: 02-10-2004 16:39 |
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Per un'adoratrice del Cimmero come me, questo post è fondamentale.
adesso ho anch'io una matta voglia di reperire altri film di Milius. Per appagare quella sete di epicità che mi domina da sempre...
_________________ ...You could be the next. |
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alex82
 Reg.: 19 Giu 2004 Messaggi: 1068 Da: Volpago del Montello (TV)
| Inviato: 03-10-2004 17:46 |
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i film di Milius sono tutti disponibili in dvd, tranne "Dillinger".. con alcune buone edizioni come "Big Wednesday" della WB, "The Wind and the Lion" della Columbia la special edition di "Conan" della 20th
_________________ "Poi improvvisamente ogni cosa fu in tutto e per tutto simile al jazz [...] vidi Japhy che scendeva la montagna con immensi balzi di sei metri [...] e in quel baleno mi resi conto che è impossibile cadere giù da una montagna idiota che non sei altro!" |
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DottorDio
 Reg.: 12 Lug 2004 Messaggi: 7645 Da: Abbadia S.S. (SI)
| Inviato: 12-10-2004 17:06 |
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Complimenti per il topic!
Conoscevo già Milius come sceneggiatore (apocalypse Now), ma grazie a te ora posso godermi anche qualche suo film. Mi hai veramente incuriosito.
Ogni tanto ci vuole qualche topic dove si scopre qualcosa di nuovo, anzichè parlare sempre dei soliti Tarantino e Kubrick!
Bravo!!!
_________________ Geppetto è stato l'unico uomo ad aver fatto un figlio con una sega
Attention: Dieu est dans cette boite comme ailleurs et partout! |
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oronzocana
 Reg.: 30 Mag 2004 Messaggi: 6056 Da: camerino (MC)
| Inviato: 12-10-2004 17:43 |
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quote: In data 2004-10-03 17:46, alex82 scrive:
i film di Milius sono tutti disponibili in dvd, tranne "Dillinger".. con alcune buone edizioni come "Big Wednesday" della WB, "The Wind and the Lion" della Columbia la special edition di "Conan" della 20th
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l'edizione miti warner non credo sia un grande dvd...dovrebbe essere praticamente un riversamento di vhs su dvd....l'audio soprattutto fa pena.
_________________ Partecipare ad un'asta, se si ha il Parkinson, può essere una questione molto costosa.
Michael J. Fox
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