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Autore Omicidio in diretta
Marco82

Reg.: 02 Nov 2003
Messaggi: 924
Da: Lodi (LO)
Inviato: 28-08-2006 21:48  
quote:
In data 2006-08-28 19:28, stefano76 scrive:
Diavolo non puoi aver visto solo questo e Scarface, del grandissimo De Palma. Rimedia subito!


nel frattempo ho rimediato, ed effettivamente questo film se si toglie il virtuosismo alla macchina da presa non c'ha proprio niente di rilevante.
ma che dire...si fa sempre vedere volentieri
_________________
"1..2..3..4..5..e 6...sei...numero perfetto..."
"ma non era 3, il numero perfetto?"
"sì, ma io ho sei colpi quì dentro..."

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Schizobis

Reg.: 13 Apr 2006
Messaggi: 1658
Da: Aosta (AO)
Inviato: 29-08-2006 13:37  
A proposito di Omicidio in Diretta vi segnalo questa entusiastica recensione di Giuseppe Puccio

Dopo una lunga attesa, Snake Eyes è finalmente arrivato in Italia, con notevole ritardo rispetto all'uscita americana. Dopo avere visto il film per la seconda volta, provo a scrivere le mie impressioni.


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Il film



Nonostante tutto quello che avevo letto, di buono e di cattivo, e nonostante la mia lunga e amorevole frequentazione del cinema di De Palma, sono arrivato alla visione del film con una immagine (pre-visione) completamente sbagliata, e sono rimasto felicemente confuso e sorpreso.
Snake Eyes è infatti un film straordinario e totalmente nuovo, un'opera difficile sotto molti aspetti, ma che ricompensa in modo generoso chi da questa difficoltà non si lascia scoraggiare. E' uno dei film più innovativi di De Palma, tanto che sembra quasi che il regista sia tornato alla straripante ricchezza inventiva delle sue prime opere (Sisters, Il Fantasma del palcoscenico). Al tempo stesso, pur rappresentando un rinnovamento e una svolta, si ricollega idealmente, continuandone il discorso, a due dei suoi film più recenti: Raising Cain (Doppia Personalità) e Mission Impossible. E' un film da vedere senza pregiudizi e con mentalità completamente aperta, che non può essere paragonato a nessun altro, e che cresce nella coscienza molto oltre la visione diretta.



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Struttura e Stile



La cosa che colpisce di più, soprattutto alla prima visione, è la stranezza della struttura narrativa e filmica e la complessità, quasi indecifrabilità, dello stile. Fin dalle prime inquadrature si prova l'impressione fortiaaima di trovarsi di fronte a un'opera totalmente formale, astratta: eppure questa forma, anzichè dispiegarsi in costruzioni eleganti e simmetriche, come era successo in Body Double, si ripiega continuamente su se stessa in figure irrisolte, disturbanti, continuamente spezzate. Il film assume così le movenze (estetiche) di un incubo post-moderno, unitario ma mai sintetico, destinato più che mai a inquietare lo spettatore, a spiazzarlo, a manipolarlo contraddicendo tutte le regole della manipolazione. In questo senso più che mai, come già era avvenuto in Raising Cain, De Palma si allontana dal modello hitchcockiano, tanto esagerato e abusato dai cosiddetti critici, e assimila, col suo straordinario talento nel fagocitare e ricreare, l'esperienza di registi come Lynch e i Coen. Restando però al tempo stesso, per fortuna, De Palma, e intessendo con concretezza unica in questo rinnovato tessuto stilistico le visioni del mondo, della condizione umana, della percezione, del cinema, che da sempre fanno grande la sua opera.



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Trama e Significato



Come spesso avviene con il cinema di De Palma, le tante critiche che sono state mosse al film, soprattutto in America, sono in linea di massima assolutamente vere, ma ne colgono in realtà i meriti anziché i difetti.
Questo è particolarmente evidente nei discorsi che sono stati fatti sulla trama. Essa è infatti, inconfutabilmente, tanto semplice da essere quasi inesistente. Qui più che mai il film non può in alcun modo essere letto come un film di genere, neppure dal più fuorviato dei critici. La struttura di genere semplicemente non esiste, o peggio esiste solo come fantasma, come traccia distorta e deviante. In questo senso Snake Eyes è assai diverso da film come The Untouchables o Carlito's Way che, pur nella loro ricca dimensione meta-filmica, possiedono anche una solida "base" fruibile senza (troppi) problemi anche a livello immediato.
Nella reale difficoltà di definire cosa sia Snake Eyes, è invece assai più facile dire cosa non è:
1) Non è un thriller, e meno che mai un "political thriller". Se fosse un thriller, avrebbero ragione i detrattori: sarebbe un thriller pessimo . Il cattivo viene dichiarato prima della metà del film, la trama è quasi elementare, e soprattutto non c'è suspense "legata alla trama" (il che non vuol dire, naturalmente, che non ci sia suspense).
2) Non è, e bisogna dirlo con estrema chiarezza, un film "alla Hitchcock". Mai come in questo film i "debiti" Hitchcockiani sono stati deformati, alienati, invertiti, fino a rappresentare l'esatto opposto di se stessi. Gli ovvi riferimenti all'Uomo che sapeva troppo, i temi originari del voyeurismo (La finestra sul cortile) e del doppio (La donna che visse due volte, Psycho) sono qui talmente stravolti rispetto al modello originale da essere alla fine soltanto, definitivamente e imprevedibilmente, depalmiani.
3) Non è, in alcun modo, un remake di Rashomon. E' vero, ci sono tre flashback che ricostruiscono ciò che è avvenuto da tre diversi "punti di vista", ma le somiglianze si fermano qui, e il film di De Palma non potrebbe essere più lontano da quello di Kurosawa per intenti e concezione. Per esempio, i flashback in De Palma sono una strana mescolanza di soggettività e oggettività, e in tutto il film il rapporto fra verità e apparenza è assai più complesso e profondo di quanto potrebbe essere in un più tradizionale approccio "relativistico".
4) Non è, come hanno detto molti, un esercizio di stile fine a se stesso. Questa davvero è l'accusa più intollerabile, e sembra derivare solo dal fatto che lo stile, nel senso di tecnica e forma cinematografica, è qui davvero straordinario. Ma l'uso che De Palma fa dello "stile" è completamente subordinato al senso più profondo del film, tanto che le scelte "cinematografiche" sono talmente diverse e disomogenee, cambiano così bruscamente da una parte all'altra del film, ma anche da una scena all'altra o all'interno di una stessa scena, da disorientare ancora di più lo spettatore, al di là della sorpresa e dell'ammirazione iniziale.



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Titolo e Soggetto



Il titolo (quello originale) è una delle più belle "costruzioni" di De Palma, e annuncia già (come era stato in Body Double) i due temi fondamentali del film: il doppio e il destino della sconfitta. Snake Eyes (letteralmente: occhi di serpente) è infatti l'espressione gergale con cui, nel gioco dei dadi, viene indicato il punteggio 1+1, il più basso, quello obbligato a perdere. Viene anche così accennato un terzo tema importantissimo nel film, quello del gioco-scommessa-sfida-imbroglio, che riceverà la sua splendida consacrazione nella (doppia) sequenza dell'incontro di pugilato. E ancora, ammiccamenti allo sguardo-percezione, e all'inganno "diabolico" della dualità.



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Doppio e Doppi



A differenza di altri film di De Palma, Snake Eyes è monoliticamente costruito attorno a un unico doppio principale, da cui discende tutto quello che c'è nel film. Si tratta, ovviamente, del doppio Cage - Sinise (Santoro - Dunne), che ha numerose caratteristiche che lo rendono atipico, e a suo modo unico:

1) Si tratta di un doppio insolitamente esplicito. Fin dall'inizio del film il rapporto unico che lega i due personaggi è dichiarato, non solo nelle immagini o in allusioni indirette, come avviene di solito, ma in frasi molto chiare della sceneggiatura (per esempio, Cage descrive Sinise come l'uomo di cui avrebbe voluto vivere la vita).
2) Il doppio viene dato "a priori", senza alcuna giustificazione di trama. I due personaggi vengono subito introdotti come il perno del film, prima ancora che accada qualcosa; il loro rapporto è "senza storia", in qualche modo eterno, a malapena frettolosamente "giustificato" da poche frasi scambiate all'inizio che, sul piano "basso" della sceneggiatura, gli danno un minimo di retroterra.
3) Si tratta di un doppio estremamente simmetrico e simmetricamente sfasato, una perfetta unità geometrica e semantica. Cage è il "cattivo" corrotto, pragmatico, volgare, infedele, espansivo e teatrale, e alla fine leale. Sinise è il "buono" onesto, idealista, controllato, fedele, introverso e essenziale, e alla fine traditore. Yin e Yang più che mai, in una polarità assolutamente orizzontale e speculare, che più che rapporto padre-figlio o maestro-discepolo (come in Mission Impossible), o fratello-sorella e amante-amata (come in Fury, Scarface, o ancora Mission Impossible), sembra incarnare un'assoluta parità di ruoli e interdipendenza, una gestalt ancora più astratta e primitiva. Santoro e Dunne sono un'unica persona, spaccata in due per potere esistere, una mente divisa (con quasi perfetta ortodossia freudiana) in super-io e id, un'identità speculare. La loro complicità investe persino la specularità dell'aspetto fisico, del modo di camminare, del modo di vestire, dei rispettivi distintivi (le decorazioni militari di Dunne, il telefonino dorato e l'anello kitsch di Santoro).

In questo senso, la storia del film è essenzialmente la storia della rottura irreversibile di questo equilibrio, proprio come Mission Impossible era la storia della rottura irreversibile della "squadra-gestalt": in entrambi i casi, la redenzione e la rinascita sono inattuabili, e l'identità resterà sospesa, indefinitamente irrisolta.

Ma Snake Eyes non è solo la storia di una (doppia) coscienza, è anche, simmetricamente, la storia di un (multiplo) universo. Non a caso il film recupera, con un rigore senza precedenti, l'unità classica di tempo, luogo e azione, non a caso si presenta dall'inizio alla fine come un incubo claustrofobico. Microcosmo e macrocosmo, soggetto e oggetto, individuo e realtà sono qui solo le due facce di una stessa medaglia, riflessi paralleli di un ologramma che contiene in ogni sua parte tutti i riferimenti. Dal doppio-matrice centrale discendono così, per tutto il film, doppi e multipli infinitamente sfaccettati, che plasmano tutto, dall'ambiente al punto di vista, dai personaggi agli eventi. Impossibile anche solo tentare di farne un catalogo, ma vale la pena di ricordare almeno la riflessione dell'incontro di pugilato (centro degli eventi) nell'incontro "inverso" fra Shaw e Cage (e poi fra Sinise e Cage!) nel secondo tempo; la simmetria fra le due donne (Julia Costello e l'agente dai capelli rossi); il rapporto fra Cage e Shaw (e rispettivi anelli); i quattro agenti che restano due; il doppio Dunne - Powell; e soprattutto il più semplice e più perfetto, quegli "infrarossi" che rivelano la loro falsità di fuochi d'artificio proprio perché, anziché essere uno, sono due.



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La sequenza iniziale



Celebrata praticamente da tutti, persino dai detrattori, come un eccezionale risultato tecnico e stilistico, la lunga sequenza in steadycam che segue Cage per più di un quarto d'ora, fino alla consumazione del delitto, all'interno del Millennium, è senza dubbio impressionante. Al di là dei suoi meriti stilistici e delle sue intrinseche difficoltà di realizzazione (da questo punto di vista, e solo da questo punto di vista, viene spontaneo il confronto con l'altrettanto bella ma tanto diversa sequenza che apre il "falò delle vanità), questa scena ha il ruolo fondamentale di colpire fin dall'inizio lo spettatore, di informarne l'atteggiamento e la ricettività, e di costituire il definitivo riferimento di tutto ciò che avverrà dopo. La sequenza è molto complessa, e non è possibile analizzarla senza un adeguato supporto visivo. Essa presenta però alcune interessanti caratteristiche di fondo:
1) Contiene, in forma criptica, la maggior parte degli elementi narrativi che saranno enucleati nel corso del film. Alla prima visione, però, essi non possono materialmente essere colti dallo spettatore, se non a livello semi-inconscio, subliminale.
2) Pur essendo realizzata interamente in piano sequenza, cioè senza tagli e montaggio, l'uso straordinario e senza precedenti della steadycam, con i suoi movimenti convulsi ma precisissimi, realizza, pur nell'unità del punto di vista, un effetto di frammentazione psicologica e visiva molto simile a quello che di solito si ottiene con un montaggio frenetico, e con l'uso di molteplici cineprese. Risulta così paradossalmente invertita la connotazione tradizionale delle riprese in piano sequenza, che è di solito quella di dare un senso di continuità e di distacco, o almeno di fluidità della visione.
3) Ma l'elemento più sorprendente è che l'occhio della steadycam, nonostante le sue velocissime oscillazione e fluttuazioni, rimane per quasi tutto il tempo implacabilmente centrato su Cage, spesso addirittura in ripresa frontale. Al tempo stesso Cage si muove, urla, parla, gesticola, agisce, e rimane costantemente testimone di tutto ciò che avviene attorno a lui, senza apparentemente mai percepirlo realmente. Anche per lui, in questa fase, la visione è subliminale, distratta. La coscienza dello spettatore si trova a vivere, dunque, una stranissima condizione: condannata a percepire la realtà rimanendo fissa non sulle cose, ma su un soggetto, un soggetto che guarda, con superficialità, sullo sfondo della propria mente, i luoghi e gli eventi. Tutto avviene così sullo sfondo, sia fisicamente che mentalmente. Eppure gli eventi prendono corpo in tutta la loro fugace drammaticità, sia alle spalle del testimone-Cage (e di fronte al testimone-spettatore), che nello spazio opposto (il ring, invisibile alla camera), riflessi in miriadi di coscienze. In questo modo, Snake Eyes è, fin dall'inizio, storia della verità oggettiva che nasce dal soggetto, del corpo che nasce dalla mente, della verità generata dalla menzogna. Non film sulla relatività del reale, ma disperata affermazione dell'oggettività delle apparenze, della materialità della percezione, della vitalità della morte.



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Gioco, Scommessa, Sconfitta



La simbologia del gioco permea tutti gli elementi narrativi, ma il gioco non è mai quello che sembra, è sempre inganno e depistaggio, si tratti delle slot machines del casinò o dell'incontro di box, delle scommesse di Santoro o delle trame di Sinise. Nel gioco si può vincere o perdere, ma nel gioco delle apparenze e della realtà si può solo perdere, sballare: snake eyes è il solo punteggio concesso. La coscienza dualistica che finge di essere stabile, che si sdoppia per essere sicura, è destinata a tradirsi e a distruggersi.
Al centro di questa enorme slot-machine pseudo-casuale, di questo casinò appena intravisto, si rappresenta la scommessa centrale del film, la scena più intensa e fondamentale: l'incontro di box, che è al tempo stesso riflesso e segno della scommessa macrocosmica dell'omicidio, della manipolazione totale.
La scena dell'incontro, come viene rivissuta attraverso il primo e bellissimo flashback, quello che "si appoggia" alla memoria del pugile Shaw, è davvero memorabile. C'è un momento, quando Shaw si rende conto che, senza volere, ha quasi vinto l'incontro, in cui la sua maschera tragica sintetizza con grande potenza la confluenza dei significati. Nella coesistenza delle due scelte, dei due destini possibili, vincere l'incontro e perdere la propria vita, o perderlo e perdere la propria integrità e identità, la libertà è annullata, la scelta diventa solo un ultimo trucco, il destino è tracciato in tutti i modi possibili, nessuno dei quali ha senso.
La scena viene poi magistralmente raddoppiata nel secondo tempo, quando Shaw diverrà protagonista del grottesco "incontro" con Cage, per fargli dire dove si trova Julia. Il demiurgo è lo stesso (Dunne), e questa volta il pugile-eroe-soldato è destinato specularmente a vincere e a corrompersi definitivamente. La sconfitta vera (di Cage) prende il posto di quella falsa (di Shaw), al posto dei 14000 testimoni ci sono solo complici ed ombre, e al taglio postmoderno della prima scena si contrappone quello esplicitamente espressionistico della seconda, ma anche qui la tragedia si consuma senza alcuna scelta, scandita solo dalla sofferenza delle vittime e dei carnefici, e dalla inutile, estrema difesa delle parole. Ma, significativamente, l'ultimo colpo non sarà di Shaw, ma di Sinise.



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Distacco ed Emozione



Snake Eyes è, a un certo livello, un film freddo. E' freddo perché il processo di straniamento della forma e dei contenuti impedisce, come già detto, di seguire il film a livello "basso", o almeno di seguirlo con vera identificazione. Questo è probabilmente il motivo principale che rende così difficile, per molti, la fruizione del film. La trama è eccessivamente semplice, eppure continuamente frammentata. L'unità di spazio, tempo e azione, che dovrebbe assicurare, come nelle tragedie greche, la compattezza dell'evento cinematografico, è solo un ulteriore gioco, un'ultima scommessa truccata. Mai uno spazio chiuso è stato così "non visto" (la boxing-hall), frammentato e accennato (il casinò, visto quasi solo attraverso le innumerevoli videocamere), trasformato in pura astrazione (i corridoi e la stanza del finale). Mai un tempo definito è stato reso tanto circolare, infinito, aperto come una spirale che ad ogni ciclo ripete e annulla se stessa. E l'azione, frenetica e sfasata nella prima parte, si congela nella seconda in infinite sospensioni, in confronti statici e irrisolti, fino alla sospensione assoluta, totalmente meta-filmica, del suicidio finale.
Si può dire che Snake Eyes viola praticamente tutte le regole della narrazione, sia naturali che convenzionali. Ma questa totale violazione è anch'essa un imbroglio, una suprema scommessa. Se guardiamo al di là, se non ci lasciamo confondere dalla trama sprecata, dai personaggi pseudo-stereotipati, dai finali cambiati, dalle cose apparentemente lasciate in sospeso, dalle inversioni complete e repentine dello stile, scopriremo che il film diventa una persona vivente, che i due protagonisti, i loro complici e i loro riflessi, la folla, il Millennium, tutto ciò che è visto e tutto ciò che è non visto, diventano un un unico essere e un'unica coscienza: possiamo vederlo come una mente individuale, una società o un universo, ma le sue ferite non saranno meno vere, le sue contraddizioni meno profonde, la sua sconfitta meno tragica. Più di una volta, nelle improvvise e preziose aperture che spezzano lo sgomento estetico, Snake Eyes raggiunge momenti di intensità lirica totale.



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Finale e Finali



Il finale cambiato, il finale raddoppiato, manipolazioni ultime ed esterne in un film che è esso stesso un capolavoro di manipolazione. La "Big Wave" (*) che non sarà mai vista, un suicidio supremamente visto nella luce accecante dei fari. La dissoluzione di tutto annunciata, l'annullamento di tutto compiuto. Ancora una volta, espansione e contrazione in alternativa per esprimere la stessa non fine, lo stesso destino di non morte. Cage, il non-eroe eroe, criminale non redento quanto martire non spezzato, fa la fine di tanti altri personaggi depalmiani (Cruise per primo): alla fine, semplicemente, non esiste.
Al raddoppio dei finali possibili si aggiunge la moltiplicazione dei post-finali. Qui più che mai De Palma, dopo aver chiuso quel che non si può chiudere, va in "meta-livello" rispetto al film, si attarda a commentare e a ri-vedere, riflettere, aprire all'infinito i significati. Dopo il finale vero (il suicidio pseudo-casuale nella luce, o meglio nelle luci pseudocasuali che distruggono impietosamente la storia), rigoroso e bellissimo (lo so, sono quasi l'unico a pensarlo), De Palma si distende in tre (!) post-finali, ciascuno prezioso:
1) L'ascesa-caduta di Cage, contratta in un grottesco televisivo che in pochi perfetti minuti, in poche immagini apparentemente trasandate, chiude definitivamente le logiche della storia (sembra quasi di rivedere l'accelerazione centrale di Scarface, o una suprema sintesi del Falò delle vanità).
2) Il dialogo finale di Cage con Carla Gugino sul lungomare, disteso in ovvio contrasto con la sequenza precedente, primo vero piano sequenza di distacco, più che mai commento meta-filmico e meta-linguistico. Con ironia ed equilibrio, De Palma si concede immagini simboliche sulla dualità, un elegante raddoppio verbale del drammatico duetto fra Cage e la Gugino sulle scale del Millennium (uno splendido scherzo-commento sul mistero dell'identità e della perdita), e persino un ironico quasi-lieto-fine (galera a parte). Ma, come dice Cage, si può essere peggio che ingenui...
3) Il lento e bellissimo piano-sequenza e zoom sugli operai che ricostruiscono (rinnovano) il Millennium, camuffato dai titoli, camuffato dalla fretta degli spettatori che si alzano e non lo vedono, non se ne accorgono neanche. In un'ultima sintesi ambigua e provocante, la macchina da presa si accosta con lentezza orgasmica all'immagine finale, alla visione finale, mentre ancora una volta le parole (i titoli) avvolgono e confondono. La mano che riposa sulla colonna del Millennium, ultimo paradiso kitsch della cinematografia depalmiana (dopo i "Paradisi" di Phantom, di Scarface, di Carlito's Way), il gioiello (della donna dai capelli rossi: non è facile ricordarlo alla prima visione) che affiora dalla pietra, dalla materia-memoria definitiva, e che pure manda un estremo luccichio ingannatore, compongono un ultimo puzzle di visione e significato, congelato nello sguardo di una sala semivuota.


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