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Autore Il mucchio selvaggio, di Sam Peckinpah
sandrix81

Reg.: 20 Feb 2004
Messaggi: 29115
Da: San Giovanni Teatino (CH)
Inviato: 15-12-2005 21:47  
Strano che non ci sia un topic, visto l'apprezzamento che mi è parso dilagare nel forum. boh, provo a dare il la...


parliamone!

[ Questo messaggio è stato modificato da: sandrix81 il 27-03-2007 alle 16:07 ]

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DottorDio

Reg.: 12 Lug 2004
Messaggi: 7645
Da: Abbadia S.S. (SI)
Inviato: 15-12-2005 22:47  
Sicuramente uno dei miei film preferiti e uno dei film che personalmente, dall'alto della mia ignoranza, ritengo tra i più importanti di sempre nella storia del cinema intero.
Come sottolineava sandrix, è un film che è in aperta rottura con i western precedenti con un incredibile numero di scatti (la contrapposizione con i film di Leone in questo senso risulta allucinante) e con una rappresentazione dei personaggi e delle situazioni completamente diverse da quelle dei western precedenti, appunto, senza il "John Wayne di turno".
Inoltre c'è da evidenziare come questo film, ma Peckinpah in generale, abbia influenzato, e continua a influenzare, il cinema degli ultimi anni, soprattutto nei film d'azione (basta pensare a certi casi palesi come John Woo, Tarantino, per non parlare di Matrix).

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Geppetto è stato l'unico uomo ad aver fatto un figlio con una sega

Attention: Dieu est dans cette boite comme ailleurs et partout!

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13Abyss

Reg.: 20 Lug 2003
Messaggi: 7565
Da: Magliano in T. (GR)
Inviato: 16-12-2005 04:41  
è bene che si ricordi che i registi americani... anzi no, tutti i registi di genere odierni sono debitori a Peckinpah.
...e poi si potrebbe stare ore a parlare del finale de Il Mucchio Selvaggio.
ma anche di tutto il resto.
con tecnica e prepotente innovatività dell'impianto (peraltro è forse l'ultima, radicale, "nuova" impronta storica per quel che concerne il montaggio) quest'opera emette un fascino assoluto, che colpisce il nostro sguardo, in primis, e la natura stessa del cinema nel suo dipanarsi.

uno dei pochi film che ritengo assoluti, anche se P.G. & B.t.K. resta il mio preferito del regista.
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Rubare in Sardegna è il Male.

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sandrix81

Reg.: 20 Feb 2004
Messaggi: 29115
Da: San Giovanni Teatino (CH)
Inviato: 16-12-2005 10:26  
quote:
In data 2005-12-16 04:41, 13Abyss scrive:
...e poi si potrebbe stare ore a parlare del finale de Il Mucchio Selvaggio.
ma anche di tutto il resto.


ma infatti è proprio quello che spero si faccia.
e il flashback condiviso (e alternato, nel senso del montaggio) tra Pike e Thornton?
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Quando mia madre, prima di andare a letto, mi porta un bicchiere di latte caldo, ho sempre paura che ci sia dentro una lampadina.

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Petrus

Reg.: 17 Nov 2003
Messaggi: 11216
Da: roma (RM)
Inviato: 16-12-2005 11:32  
beh, io l'ho pure nel banner del blog
per azzardarmi a parlare un pò più costruttivamente dovrei rivederlo però
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"Verrà un giorno in cui spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate"

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codadilupo

Reg.: 08 Nov 2005
Messaggi: 14
Da: Atena Lucana (SA)
Inviato: 19-12-2005 03:10  
Un grande film di un grande regista, senza dubbio e di sicuro uno dei miei preferiti. Condivido pienamente poi l'analisi di sandrix81 ma oltre al senso dell'amicizia io ci vedo anche un alto senso dell'onore; i 7 samurai secondo me c'entrano e parecchio. In un mondo dove non c'è più posto per certi uomini (l'allegoria iniziale dello scorpione che nulla può contro una miriade di "esseri inferiori" come le formiche e che è la chiave di lettura di tutto il film, secondo me), questi uomini comprendono che il loro tempo è finito. Ma il concatenarsi di certi eventi (ineluttabilità del destino?) fanno si che loro possano avere un raro privilegio: la libertà di scegliere il momento della loro morte e darle così un senso. L'uomo non è più una preda senza scampo che vive nel terrore che questa possa arrivare a ghermirlo in qualsiasi momento, trovandolo (perennemente) impreparato. Così il "perchè no" che normalmente è una decisione dettata da eventi verso i quali si prova la stessa indifferenza, qui è invece un carpe diem, una scelta lucida di un "qui ed ora" irripetibile. In loro è solo l'indifferenza verso la morte stessa che non temono e a cui sanno di non poter sfuggire per molto tempo ancora.
La vita di Mapachi, il generale alcolizzato e prepotente, il falso "difensore dei poveri" che approfitta della stessa rivoluzione e del potere che la sua gente in buona fede gli ha dato per sfruttare chi invece dovrebbe difendere, non vale la vita di uno solo di loro: ladri e assassini per loro profitto. Siciuramente non gente per bene da prendere ad esempio, ma che non si spaccia per falsi Robin Hood, che non nasconde i propri sporchi interessi dietro guerre sante dichiarate ad hoc. Gentaglia, quella del mucchio selvaggio che però rinuncia ad una parte del proprio guadagno per dare ai poveri peones del villaggio di Angelito una possibilità di sopravvivenza, di difendersi dai soprusi di tutti: rivoluzionari e controrivoluzionari. Perchè nella giungla di Sam P. nessuno può sopravvivere solo perchè è buono o è giusto e tanto meno se non ha un'arma e la sa usare bene. Nel Wester crepuscolare, metafora di un mondo dove ognuno è solo nel senso più assoluto, dove nessuno è assolutamente innocente, ma tutti sono al contempo carnefici e vittime (tutti temi cari a S.P. tanto che ricorrono anche in altri film non dello stesso genere, tipo ne "la croce di ferro") non c'è una parte "giusta" e una parte "sbagliata"(così come anche in Sergio L. e Clint E.) e gli unici valori di riferimento sono appunto l'amicizia e l'onore. Non l'amore tra uomo e donna, l'amore tradito di Angelito e che sarà causa del suo destino, ma quell'ambiguo sentimento che solo un uomo può provare per un altro uomo e che prova per Pike il personaggio interpretato da Ernest Borgnine e di cui ora non ricordo il nome. Thorton (ex appartenente al mucchio selvaggio)non può morire con i suoi ex compagni perchè li ha traditi. Per questo la sua condanna sarà di dover rimpiangere per sempre di aver mancato a quel grande evento, al quel "qui ed ora" irripetibile. Sarà di dover vivere anacronisticamente, quindi: inutilmente, ancora chissà quanti anni. Sarà di dover cercare forse inutilmente una morte altrettanto degna di essere vissuta. Thorton non poteva essere li perchè la sua scelta è stata di non essere più da questa parte della barricata ma dall'altra, con gli uomini che plasmano il loro essere in accordo con il mutare dei tempi, rinunciando ad avere dei punti fermi, dei valori assoluti. Questo basta a renderlo indegno di scrivere il suo nome nella leggenda insieme a quello dei suoi compagni di un tempo.
_________________
Tutto ciò che volevano erano le stesse risposte che noi tutti vogliamo:
da dove vengo? dove vado? Quanto mi resta ancora?
Non ho potuto far altro che restar lì e guardarlo morire.

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sandrix81

Reg.: 20 Feb 2004
Messaggi: 29115
Da: San Giovanni Teatino (CH)
Inviato: 27-03-2007 16:09  
LA FRONTIERA DEI DISPERATI

Se la seconda guerra mondiale aveva cambiato profondamente il genere western, trasformando gli eroi senza macchia e senza paura in uomini segnati da eventi infausti o traumatici, ma che comunque restavano degli eroi, è altresì evidente che gli eventi storici successivi che hanno coinvolto direttamente gli Stati Uniti (Corea, Vietnam, Guerra fredda,…) hanno stravolto completamente il genere, rivoltando la frontiera dei pionieri in un mondo in cui non ci sono eroi, non ci sono vincitori, un mondo in cui ci si arrangia per sopravvivere. Il western è sempre stato la più grande allegoria del mito di fondazione nazionale degli Stati Uniti. Ma se Ombre rosse narra di uomini giusti e di eventi che hanno permesso la fondazione di quella terra dei miracoli che è la California (e per estensione tutti gli USA), e Sentieri selvaggi e Il fiume rosso parlano di uomini che lottano per la giustizia ma decidono di lottare per gli altri – i più deboli – solo dopo aver subito un trauma sulla propria pelle (proprio come gli Stati Uniti entrarono in guerra dopo l'attacco a Pearl Harbour), ecco che il western postmoderno (e post Corea-Vietnam), il western ribelle della New Hollywood, ci parla di un popolo di sconfitti, di una realtà in cui sopravvive solo chi sceglie (o chi ha la fortuna) di non agire, di non entrare in battaglia.
Ecco perché Peckinpah tratta alla stessa maniera tutti i personaggi del suo film, senza particolari riverenze e senza eccessi di enfasi per il John Wayne di turno. Il protagonista è Pike, ma cos'ha Pike più degli altri? Quali sono le caratteristiche che lo pongono un gradino sopra gli altri? Non ci sono, perché Pike non è meglio degli altri, e questo indipendentemente dal fatto che sia un criminale, e/o dal fatto che venga descritto come l'uomo che è nel giusto, contro la prepotenza più o meno legale (o legalizzata) della ferrovia e dell'esercito, da una parte, o del generale Mapache, dall'altra. Thornton e Sykes non hanno fatto nulla per meritare di sopravvivere, arrivano alla fine del film semplicemente per caso, perché per un motivo o per un altro non erano presenti nel momento in cui il “Perché no?” fa da preludio alla strage finale, poiché quel “Perché no?” l'avrebbero condiviso volentieri, per essere a fianco dei propri amici. Perché nel western dell'era crepuscolare non ha più senso parlare di eroi, uomini giusti, buoni, brutti e cattivi, ma solo di amici.
I protagonisti non credono a nulla se non al profitto, ma la negatività delle loro figure morali è riscattata da quella ben più spietata di chi gli dà la caccia, proprio come gli scorpioni sommersi dalle formiche rosse nella prima sequenza.
Il Messico, presenza fissa nel cinema di Peckinpah, gioca in questo senso un ruolo fondamentale. Per quanto ancora selvaggio, è il luogo di una rivoluzione possibile, in cui comunque non credono, ma dalla quale sono affascinati e a fianco della quale si schierano fino alla morte. Il Messico, nel cinema americano dagli anni Sessanta in poi, è il luogo simbolico della libertà, di rifugio, un luogo dell’anima, un luogo dell’interiorità e di conseguenza un luogo con cui si vive un rapporto conflittuale. Per gli uomini drammaticamente anacronistici del Mucchio, si tratta di scegliere un luogo in cui e una causa per cui morire. Non è la rivoluzione, a loro estranea, ma il fascino che questa esercita su di loro. Il loro è un atto che beneficia la rivoluzione, contro l’esercito brutale, gratuito seppure in nome di una vendetta; gli uomini del Mucchio non sono uomini d’onore come i personaggi interpretati da John Wayne, la vendetta è solo un atto di adesione a un destino volontario, per uscire dalla Storia, che non ha nulla di positivo.

La decostruzione della componente semantica del genere western, contraddistinta dunque dall'amoralità dei personaggi e dalla riflessione sul rapporto tra uomini, violenza, morte e quant'altro, si riflette inevitabilmente nella decostruzione della componente sintattica e nella creazione di una nuova forma, segnata dal montaggio frenetico (3643 inquadrature!) e dalla grande libertà di gestione di spazi e tempi.
La macchina da presa non è più “ad altezza d'occhio”, per dirla alla Howard Hawks, e soprattutto non è più invisibile, tutt'altro, la presenza di Peckinpah si sente in ogni inquadratura, la macchina da presa parla e agisce in prima persona, per moltiplicare i punti di vista e le riflessioni. Ralenty e fermi-immagine dilatano i tempi serrati dagli oltre tremilaseicento stacchi, in modo da aumentare la drammaticità della nostalgia e della rassegnazione che pervadono l'atmosfera della pellicola: Peckinpah rifiuta la strada del realismo, perché sa che non può esserci realismo in un'arte della rappresentazione qual è il cinema, e si affida al vero linguaggio del cinema, che è il montaggio, unico codice di significazione in grado di indicare la strada del pathos e della intensità della narrazione, senza lasciare lo spettatore libero in una stasi contemplativa in cui rischierebbe di perdersi.
Quello che Peckinpah lancia con Il mucchio selvaggio è un modello estetico nuovo e ribelle, in cui lo strazio della carne e del sangue convergono in una spettacolarizzazione della violenza – lontana e diversa dal manierismo estetizzante dei film di Leone – che restituisce dignità e valore alla morte (forse il tema principe della New Hollywood), in cui il tema della nostalgia si interseca a quello dell’iperrealismo, come nelle iperboliche sparatorie che aprono e chiudono il film in una dilatazione sia temporale che figurativa, che amplifica la percezione dell’evento, della morte, del destino.

Il mito dunque si disgrega, e Il mucchio selvaggio è un monumento ad un'America stanca e vecchia, a un'America sporca e violenta, a un'America che sta per scomparire.


http://www.positifcinema.com/mucchioselvaggio.htm
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eltonjohn

Reg.: 15 Dic 2006
Messaggi: 9472
Da: novafeltria (PS)
Inviato: 27-03-2007 17:18  
Io posso solo dire che l'avrò visto almeno venti volte e per altrettante lo rivedrei..
_________________
Riminesi a tutti gli effetti...a'l'imi fata!

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