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Autore Charles e Ray Eames
Rivole

Reg.: 02 Lug 2002
Messaggi: 729
Da: Londra (es)
Inviato: 30-09-2002 13:19  
Per Charles e Ray Eames Dio era nel dettaglio. Tutto il loro lavoro, non soltanto la parte cinematografica, è catalogazione, svelamento, scoperta.
La raccolta di diapositive, sia come mezzo di studio che come dichiarazione di un'estetica precisa negli intenti e nelle fonti, è la chiara manifestazione di questa attitudine o fede. Il mondo costruito da questi scatti è il mondo di una bellezza suggerita da minuscoli meccanismi, da incanstri funzionali, da particolari (nodi, rocchetti, dune, impronte sulla neve, ideogrammi, ingranaggi, ciotoli) che si sommano, uno dopo l'altro, senza alcuna coerenza apparente. Quello che li riunisce in insieme è la volontà stessa di accostarli, la necessità di due sguardi frammentati (come caleidoscopi) che mettono una di fianco all'altra le piccole tessere di un dizionario estetico. L'incessante lavoro di osservazione è simile a quello di uno scienziato, qui il macro dell'obiettivo sostituisce il microsopio, ogni diapositiva, ogni relazione formale, ogni accostamento, sono allo stesso tempo ispirazione e affermazione, suggerimento e bellezza svelata.
L'accumulo di immagini non era limitato agli scatti fotografici, ma si estendeva a qualsiasi oggetto in cui Charles e Ray potevano imbattersi: giocattoli, soprammobili o attrezzi. Questa collezione e la pratica stessa che la sosteneva, la convinzione di scoprire lo straordinario nell'ordinario, erano strumenti essenziali del loro lavoro, "una nuova profondità della visione".
I film non fanno differenza, e non si discostano da questo punto di partenza.
In tutti i loro cortometraggi è immediatamente evidente la rinuncia ad un certo tipo di spazio. Lo spazio del campo lungo, lo spazio che contiene e da cui è possibile ottenere, in un'unico colpo d'occhio le relazioni che gli oggetti o i personaggi in scena intrattengono fra di loro. La visione distante viene sostituita da uno sguardo che, attraverso l'uso costante del particolare, è sempre a ridosso delle cose. Senza alcuna possibilità di ritrarsi, lo spettatore è costretto in questo rapporto esclusivo, ogni inquadratura è un ulteriore ingrandimento in profondità. Il movimento del cinema aggiunge alla staticità delle immagini fotografiche la dimostrazione matematica che gli incastri tra diversi meccanismi (naturali o artificiali) funzionano e producono bellezza dove uno sguardo non diretto, non sottoposto a questa pedagogia, non avrebbe la possibilità di notarla.
"Information Machine" (1957), girato "tra" gli ingranaggi della macchina di Babbage, "A Small Hydromedusan: Polyorchis Haplus" (1970), in cui i meccanismi artificiali lasciano spazio a quelli naturali di una piccola medusa ripresa sul fondo del mare, o "IBM Mathematica Peep Show" (1961) funzionano in questo modo. E anche quando sembra di avere a che fare con uno spazio "classico", in cui i primi o primissimi piani si alternano ai campi lunghi o lunghissimi, ci si trova di fronte alla ricostruzione, ingigantita dall'obiettivo, di un minuscolo mondo di trenini giocattolo in cui la differenza tra i vari piani è soltanto simulata come in "Toccata for Toy Trains" (1957).

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