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Autore Piano, solo - breve storia di Luca Flores
Petrus

Reg.: 17 Nov 2003
Messaggi: 11216
Da: roma (RM)
Inviato: 21-09-2007 08:45  
La vicenda del pianista Luca Flores è una storia strana, contorta, assolutamente fuori dal comune, eppure così ricca di una densa normalità, di un semplice desiderio di amare ed essere amati.
La rinuncia alla vita, il suicidio di Flores, non contiene quell'ultima ombra di disperazione che spesso si affaccia su tali vicende, ma si getta come un'insolita ombra di speranza, affermazione di una vita piena, sopra ogni cosa, nonostante tutto.
La storia del piccolo Luca è quella di un bimbo costretto a viaggiare per il mondo a causa del lavoro del padre, e che subisce un trauma indelebile a seguito della prematura morte della mamma, unico vero legame con una dimensione familiare autentica, deceduta a causa di un incidente stradale.
Il rapporto che riesce a tenere desto l'animo del bambino, che man mano cresce nel film, fino a diventare uomo, è quello con il pianoforte.
"Ho litigato con mio padre, non possiamo parlare, devo andare a suonare", afferma in una scena della pellicola, a sottolineare la carnalità e la decisività del rapporto con lo strumento.
Tutta la pellicola, che parla di musica jazz, di disagio mentale, di piccoli concerti e di grandi successi, è tesa a sottolineare la sottile discrasia che si apre nella vita del giovane pianista.
Il piano, involontariamente, di soppiatto, si insinua ovunque, permea e fagocita ogni luogo, ogni istante, escludendo sempre di più, tagliando sempre più fuori le persone che vivono, sbagliano, soffrono, intorno a Luca; il padre (Michele Placido), mancante per anni, ma ultimamente innamorato del proprio bambino; la sorella (Paola Cortellesi), vera e propria spalla di una vita; la ragazza (Jasmine Trinca), croce ma soprattutto delizia più alta, carnalità più presente in una traiettoria umana rarefatta.
Piano, Solo. Solo con il piano. Piano, lento, e solo. Solo il piano. Diverse le chiavi di lettura, tutte possibili, tutte calzanti, per un film che è tanto duro, controverso nelle sfumature che vuole comunicare, tanto è classico, senza possibilità di uscire dagli schemi dalla strada di una messa in scena ben articolata e congegnata, secondo gli stilemi classici del genere.
Riccardo Milani, dunque, traendo spunto da una pubblicazione di Walter Veltroni, costruisce un film impeccabile, che fa di questa sua costruzione precisa il suo pregio, ma anche il suo difetto. Cade infatti a volte in un didascalismo soffocante, cercando di emozionare e coinvolgere lo spettatore di più, al di là di quanto non sia possibile, lecito, creando l'effetto opposto.
Nonostante questo, grazie anche ad una complessiva buona prova attoriale (Kim Rossi Stuart, dopo una prima metà film assolutamente monocorde, esce alla distanza in modo egregio), alcune sequenze - quella morte della madre, come quella della deflagrazione della pazzia - raggiungono un livello di intensità notevole.
"Quasi non ho il coraggio di dirlo, ma sono felice", dice Flores, in uno degli ultimi momenti di sofferta lucidità. Una vita consacrata alla ricerca della felicità, della ricerca di qualcosa di più grande, ritrovato nel magnifico, indimenticabile, maestoso e micidiale rapporto con un pianoforte al quale ha dedicato, nel senso pieno del termine, la vita.
E, nonostante quell'ultima, caustica, negazione finale, nonostante quel volersi negare una speranza, emerge, come dato fondante, quello di un'apertura a qualcosa d'altro. Un'esigenza profonda del cuore dell'uomo che un semplice piano, solo, non può soddisfare


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"Verrà un giorno in cui spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate"

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kubrickfan

Reg.: 19 Dic 2005
Messaggi: 917
Da: gessate (MI)
Inviato: 22-09-2007 23:49  
Piano, solo

Trama: la biografia della vita contrastata di Luca Flores, morto suicida prima di avere quarant'anni, pianista jazz di grande valore vissuto fino al 1995. Gli incontri con i grandi del jazz, il successo, ma anche la sua voglia di estraniarsi per suonare in luoghi dove i suoi suoni potessero chiudersi e non aprirsi per intimarsi con il suo stato mentale corroso.

Commento: Riccardo Milani ha già diretto Michele Placido e Paola Cortellesi (qui padre e sorella di Luca Flores - Kim Rossi Stuart) nel film Il posto dell'anima che parlava di un tema impegnato come quello della perdita del posto di lavoro, adesso li riutilizza in questo lavoro biografico sulla vita di un jazzista-pianista sconosciuto al grande pubblico. Un lavoro che si concentra sopratutto sulla vita difficile e sui tormenti della persona e non solo sulle sue opere, anche se sono presenti parecchi pezzi suonati in singolo e in gruppo. Per chi volesse approfondire l'argomento c'è anche un libro scritto da Walter Veltroni dal titolo"Il disco del mondo". A livello ristretto del film, abbiamo il ritratto di un uomo tormentato e mai tranquillo, che cerca anche in un viaggio in Africa di trovare la serenità insieme alle giuste sonorità. A pesare come una spada di Damocle su di lui la morte violenta della madre di cui lui si dà colpa perennemente e che lo turba costantemente nei ricordi, stessi tragici ricordi che non vengono mitigati dall'amore sincero di una Jasmine Trinca (con Rossi Stuart in Romanzo Criminale diretto da Placido, numerosi spunti di collaborazione si intersecano in questo film) pulita e brava ragazza come non mai.
Kim Rossi Stuart è bravissimo a tratteggiare tic e poche luci di quest'uomo dalle mani di fata che scorrono sui tasti di un pianoforte, con una recitazione misurata e compassata sempre mancante di un vero sorriso perfetta per esteriorizzare il disagio che vi è dentro. Ottima anche la presenza di Paola Cortellesi, sorella dolce che si vede anche lei nei ricordi in versione bambina, mentre placido si concede la parte del leone che appare a fare il grande anxiano del film. Un lavoro che va visto nell'ottica non solo di presentare un artista ma in quella di mostrare la sua ansia che non viene vinta da soddisfazioni materiali oppure dalla presenza del pubblico, prima cercato poi evitato nella sorta di catarsi di preservare solo per se stessi la propria arte in modo che possa essere il più possibile medicina personale per curarsi. Il ritmo scelto dal regista è giustamente molto lento, le situazioni si dipanano senza clamori e tutto sembra essere un ellissi di scale sonore che tormentano senza fine, come lo stesso protagonista che non si libera dell'ossesione della perfezione, per cui è necessaria una serata di giusta impostazione non di solo divertimento, che comunque non necessita di una preparazione di base per poterlo godere.
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