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Autore La terra degli uomini rossi - di Marco Bechis
AlZayd

Reg.: 30 Ott 2003
Messaggi: 8160
Da: roma (RM)
Inviato: 06-09-2008 16:20  
Trai i pochi film (buoni) visti a Venezia, e su cui ho scritto, questo mi ha particolarmente colpito.


Non accadrà spesso, ma per una volta, dato un film che verte su questioni di urgente e vitale importanza (fuor di metafora, nel senso primo, vero e stretto del termine – vita! -, in un contesto socio-politico-culturale millenario, umanistico, religioso, antropologico, in cui però regnano morte, sopraffazione e devastazione), riteniamo opportuno ed utile introdurlo con alcune note riassuntive e contestualizzanti il grave ed annoso problema che affligge il popolo dei Guarani Kaiowá, tratte dal pressbook curato dalla 01 Distribution, fonte Survival International.
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GUARANI KAIOWÁ - Quando gli Europei arrivarono in Sud America, i Guarani furono uno dei primi popoli ad esser contattati. All’epoca contavano oltre un milione e mezzo di persone, distribuiti tra Paraguay, Brasile, Bolivia e Argentina. Oggi ne sopravvivono poche decine di migliaia. I Guarani brasiliani sono suddivisi in tre gruppi, di cui quello dei Kaiowá è il più numeroso (sono circa 30.000). Vivono nello stato del Mato Grosso do Sul, nella zona centro-occidentale del Brasile, ai confini con il Paraguay.
I Guarani-Kaiowá sono i discendenti di quegli indigeni che, alla fine del ‘600, rifiutarono di entrare nelle missioni dei Gesuiti. Nonostante secoli di contatto con gli stranieri, hanno mantenuto la loro peculiare identità. Sono un popolo profondamente spirituale. Molte comunità hanno una casa di preghiera comune e un capo religioso, il pajé, la cui autorità dipende solo dal suo prestigio e dalla sua autorevolezza. Sebbene siano suddivisi in gruppi, i Guarani condividono una religione che attribuisce un’importanza suprema alla terra, origine e fonte della vita, e dono del “grande padre” Ñande Ru. I Guarani vivono le invasioni delle loro terre non solo come un furto ma anche come un grave attentato al loro stile di vita e alla loro cultura.

I loro problemi

I Guarani del Brasile stanno soffrendo terribilmente per la perdita quasi totale delle loro terre, disboscate e usurpate da allevatori e coltivatori di tè a partire dalla fine dell’800. “Mato Grosso” significa “foresta fitta” ma degli alberi non c’è più traccia. Negli ultimi quindici anni, anche le poche terre che i Kaiowá cercavano disperatamente di conservare sono state dimezzate e, oggi, misurano meno di 25.000 ettari. Le loro comunità vivono ammassate in anguste riserve istituite dal governo ai margini delle città: piccoli appezzamenti di terreno simili a bidonville, completamente circondati da ranch e piantagioni. Questi minuscoli fazzoletti di terra non sono sufficienti a sostentarli attraverso la caccia, la pesca e l’agricoltura tradizionali. I bambini soffrono quindi gravi forme di malnutrizione. Per sopravvivere, adulti e ragazzi sono costretti a cercare lavoro come manovalanza stagionale nelle piantagioni di canna da zucchero e nelle distillerie d’alcol che circondano i loro territori.
Da decenni, il Brasile è uno dei più grandi produttori di biocombustibili al mondo, e la maggior parte delle sue automobili funzionano a etanolo. Oggi, il paese ambisce a diventarne il più grande esportatore con 26 miliardi di litri all’anno entro il 2010. La maggior parte della canna da zucchero, da cui si ricava l’etanolo, viene coltivata in quelle che un tempo erano le foreste dei Guarani. Nel solo stato del Mato Grosso esistono già 11 piantagioni ma altre 30 sono in costruzione e una ventina in fase di progettazione.
Tre mesi di lavoro nelle piantagioni in condizioni di semi-schiavitù spesso non fruttano ai Guarani che poche decine di dollari a testa. Ma presto, gli indigeni si ritroveranno anche privi di questa estrema fonte di sostentamento. Il rapido processo di meccanizzazione sta infatti rendendo superflua la manodopera indigena.

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La mia recensione

Le ultime grida della foresta

Marco Bechis, italo-cileno, in fuga dall’Argentina in cui viveva ai tempi degli eccidi golpisti, approdato in Italia nel 1977, già autore dello straordinario Garage Olimpo,1999 (sulla tragedia dei desaparecidos, sulla “metodicità di lavoro” degli aguzzini e sui rapporti che si instaurano tra i carnefici e le vittime), e del successivo, meno riuscito ma altrettanto valido Hijos (figli sottratti ai loro genitori naturali e adottati dai carnefici), presentato a Venezia 2001, torna a girare il dolore, gli scempi, le brutture, le infami contraddizioni del “potere” che seguitano a devastare il suolo sudamericano. Con Birdwatchers, La terra degli uomini rossi, siamo in Brasile, nel Mato Grosso, tra gli ultimi sopravvissuti del popolo dei Guarani Kaiowá rimasti senza terra (quando essi stessi sono la Terra dei loro avi), privati del diritto di vivere, di lavorare, di cacciare nella foresta “desaparecida” che offriva loro, madre fisica e spirituale, il necessario per esistere nel senso pieno del termine, in armonia con la natura e con le loro millenarie forme di espressione culturale.

Tra gli eventi più attesi della sesta giornata, applaudito ieri con entusiasmo in entrambe le proiezioni, in quella mattutina e in quella tardo pomeridiana in Sala Grande, presente il regista e il gruppetto di interpreti indios non professionisti, questa sorta di semi-documentario in cui i tratti della finzione non inficiano, né banalizzano, o peggio mistificano, la cruda (irr)realtà quotidiana dei protagonisti e del loro mondo, il dato storico e cronachistico, conferma la capacità di Bechis di raccontare per immagini, senza manicheismi, dicotomie e separazioni di sorta tra il più puro linguaggio cinematografico e l’assunto politico-ideologico che pure è parte integrante e portante della messinscena. Cinema dell’impegno ma in tutto e per tutto fedele alle ragioni dell’estetica, dello stile, delle forme e dei contenuti che hanno un fragrante sapore di cinema - dunque assai vicino alle corde herzoghiane -, dal primo all’ultimo fotogramma. Uno dei film migliori visti fino ad ora, in un festival complessivamente sotto tono rispetto agli standard delle ultime edizioni, per quanto riguarda sia il concorso, sia le altre sezioni, escludendo la magnifica retrospettiva sul cinema italiano intitolata Questi fantasmi: Cinema italiano ritrovato e quella su Ermanno Olmi che verrà insignito del Leone d'Oro alla carriera.
Durante i primi sopralluoghi in terra brasiliana, il regista cercò tra gli indigeni coloro che avrebbero dovuto interpretare se stessi. Scelta rivelatasi quanto mai felice ed efficace, già che fatichiamo ad immaginare la stessa naturalezza nei professionisti della recitazione, pur con tutte le ingenuità dell'approccio 'dilettantesco' che finisce tuttavia per umanizzare maggiormente, rendendola più ricca di sostanza e di sfumature, la tensione (anti)interpretativa degli indios.
La violenza, la rabbia, le umiliazioni, l’anelito di riscatto, la morte, i suicidi dei giovani Guarani rimasti senza speranza, dunque morti ancor prima nello spirito, i piccoli grandi sentimenti, gli accadimenti, le ataviche frustrazioni, il dolore senza fine e catarsi, tutto ciò che appartiene all’ordine naturale della vita, nel suo fatale, ineluttabile, ed anche colpevolmente forzato, incedere, giorno dopo giorno, in cui c’è posto anche per l’amore, l’ironia, il gioco, il sesso, tutto questo, dicevamo, viene raccontato in un lucido ed organico progetto filmico che incastra in maniera omogenea i diversi piani narrativi e concettuali, nella sorprendente tenuta stilistica capace di trasmettere allo spettatore partecipe quel senso di infinita pietas contraria al sentimento pietistico/peloso che spesso nasce dai (mai) sopiti sensi di colpa dell’essere umano più “garantito” e direttamente o indirettamente colpevole.
A Bechis non interessa spettacolarizzare le sue tematiche (in linea con le scelte operare nei suoi precedenti Garage Olimpo e Hjios), neppure i più “scabrosi” e violenti passaggi tramici che ben si presterebbero a tale scopo, e dirige con mano sicura e con grande pudore (ma senza passare per le lavanderie degli scrupoli ipocriti e subdoli del falso talento), fuggendo la metafora abusata e coatta, le modaiole e volgari derive esot(er)iche e new age che infestano molto cinema antropologico, o se vogliamo etnico, restando ancorato alle radici della storia, della realtà, della concretezza, all’essenza di una vicenda tristemente vera, dal respiro universale, che non solo vorrebbe far pensare, ma anche , e soprattutto, indurre lo spettatore a “sentire”.
Straordinario l'effetto straniante, per contrasto, delle luminose, ineffabili, catartiche note barocche di Domenico Zipoli che fungono da efficace commento sonoro, nella discreta sottolineautura del sentimento universale.

Pubblicato qui


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badlands

Reg.: 01 Mag 2002
Messaggi: 14498
Da: urbania (PS)
Inviato: 06-09-2008 18:29  
lo attendo tantissimo,spero di poterlo dare in qualche rassegna del giovedì,e che magari un premio a venzezia ne aumenti la visibilità.conservo con grande piacere una foto fatta con lui nel 2002,mi pare,a venezia con figli
ciao!

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AlZayd

Reg.: 30 Ott 2003
Messaggi: 8160
Da: roma (RM)
Inviato: 06-09-2008 18:33  
Attualmente è nelle sale, a Roma in otto.., che culo!

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badlands

Reg.: 01 Mag 2002
Messaggi: 14498
Da: urbania (PS)
Inviato: 06-09-2008 18:35  
beati voi,io sti film,o meglio tutti i film italiani e quelli minori,metto giàò in conto di vederli solo nelle proiezioni del giovedi a 3 euro.quelli italiani li diamo praticamente tutti,più i vari bei film che se programmati nel weekend farebbero fallire il cinema,ma che nella serata secca vanno sempre benone(Lo scorso anno lo scafandro,before devil,petroliere,savage,charlie wilson)
ciao!

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AlZayd

Reg.: 30 Ott 2003
Messaggi: 8160
Da: roma (RM)
Inviato: 06-09-2008 18:39  
Purtroppo in Italia è così.., tutti 'sti festival per i soliti più o meno quattro gatti, e poi non ti fanno vedere i film, se non dove la cassetta incassa per l'alta concentrazione di abitanti.

Cerca di vederlo, ne vale assolutamente la pena, e in bocca al lupo!
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"Bisogna prendere il veleno come veleno e il cinema come cinema" - L. Buñuel

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badlands

Reg.: 01 Mag 2002
Messaggi: 14498
Da: urbania (PS)
Inviato: 06-09-2008 18:42  
per stare nel film(evito di leggere la tua recensione perchè prima vorrei vederlo),che significa il titolo originale?è il modo in cui vengono chiamati gli indios,che poi sarebbero gli stessi uomini rossi del titolo italiano?
ciao!

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AlZayd

Reg.: 30 Ott 2003
Messaggi: 8160
Da: roma (RM)
Inviato: 06-09-2008 19:07  
"Osservatori di uccelli", guarda l'inizio di questo trailer; suppongo si riferisca all'indomito anelito di libertà (associato all'animale più libero che ci sia), degli "uomini rossi", I Guarani.

Fai bene a non leggere le mie osservazioni, anch'io non leggo mai nulla d prima di vedere un film, però l'introduzione che ho voluto inserire, diciamo per sostenere la "causa", nel mio piccolissimo insignificante contibuto, è istruttiva e non ti condizionerà durante la visione. Il film affronta con coraggio e con grande rigore stilistico, che è anche registico, perchè non è facile entrare dentro certo argomenti con una tale capacità di sintesi e di poesia senza orpelli ed eccessi sentimentalistici, con una camera invisibile ma attenta, naturale, scarnificante, penetrante, senza mai cadere nelle tentazioni delle "tecniche" spettacolari e/o fini a se stesse, che spesso servono a mascherare la povertà di idee, di immaginazione. In questo equlilibrio formale e contenutistico, personalmente rintraccio il segno di una grande regia. Questo film è stato inoltre accusato di essere lento; ma la lentezza non è un parametro di giudizio, un film mica deve risponde ai canoni della formula uno!!

La lentezza e spesso in noi.., nelle nostre lente capacità percettive che hanno bisogno dei film fragorosi ed ipercinetici per uscire dal torpore. Per però poi, in ultima istanza, rimanerne più storditi che pria.

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AlZayd

Reg.: 30 Ott 2003
Messaggi: 8160
Da: roma (RM)
Inviato: 10-09-2008 22:53  
... che silenzio!

Temo che questo film non sbancherà al botteghino. Peccato, ma anche no.
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"Bisogna prendere il veleno come veleno e il cinema come cinema" - L. Buñuel

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gatsby

Reg.: 21 Nov 2002
Messaggi: 15032
Da: Roma (RM)
Inviato: 11-09-2008 01:07  
se pensi che è un film con i sottotitoli e senza un protagonista di richiamo, sta andando ababstanza bene. Inoltre verrà esportato in Brasile. I costi li coprirà eccome.

Comunque sia, è un film che merita, senza dubbio.

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AlZayd

Reg.: 30 Ott 2003
Messaggi: 8160
Da: roma (RM)
Inviato: 11-09-2008 01:42  
quote:
In data 2008-09-11 01:07, gatsby scrive:
se pensi che è un film con i sottotitoli e senza un protagonista di richiamo, sta andando ababstanza bene. Inoltre verrà esportato in Brasile. I costi li coprirà eccome.

Comunque sia, è un film che merita, senza dubbio.


Meno male che non è stato doppiato (non riesco ad immaginare come potrebbe essere doppiato un film del genere), e anche che non ha protagonisti di richiamo, difficile sarebbe stato interpretare lo spirito della foresta con interpreti "normali". In entrambi i casi si tratta di valore aggiunto, oltre a quanto di buono offre il film sotto tutti gli altri aspetti. Felice che riuscirà a coprire le spese, ma vorrei soprattutto che guadagnando anche di più "svegliasse" quante più possibili sopite coscienze. Sul piano dell'"impegno" (ma orami con gli ideali siamo a zero!), e su quello del buon cinema (ma se viene a mancare l'ideale sociale si affloscia anche quello estetico/artistico, è tutto collegato), tra tante frattaglie di cinema di cui francamente non se ne può più.
Fanno mesi che non esco da una sala sbalordito, soggiogato, pienamente soddisfatto per aver visto un film di cui si possa senza riserve dire: cazzuto! E da quel che sento dire in giro, nei nostri soliti giretti di anteprimisti, e dalla voce popolare, non dovrebbe essere una mia pia impressione. E' una lamentela generale.
Con le solite eccezioni da fare salve, ma in confronto alla massa di film prodotti e alle ingenti risorse economiche spese, è ben poca cosa. Forse un po' meno scialo ristringerebbe la panza ma aguzzerebbe l'ingegno.
Se il cinema i "ieri" era migliore di quello di oggi forse è anche per questo. Non lo dico io, ma la storia del cinema.-

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Valparaiso

Reg.: 21 Lug 2007
Messaggi: 4447
Da: Napoli (es)
Inviato: 20-09-2008 18:53  
Volevo spendere anch'io due parole in difesa di questo film di Bechis.
Ho trovato coraggiosa la scelta di mettere al centro gli indigeni Guarani-Kaiowá, evitando di utilizzare lo schermo, più comodo a livello commerciale, di un eroe occidentale. Inoltre il film riesce davvero a prosi sul filo della lama dell'attualità, parlando molto all'oggi del nostro paese e della società della globalizzazione.
Gli indigeni che rivendicano la propria terra, con la logica di un diritto che afferma il valore di una appartenenza reciproca, e un legame indissolubile, tra popolo e terra, e che rifiuta completamente che della terra rifiuta completamente il valore di scambio.
Dall'altra parte ci sono i "bianchi", ed è accattivante il modo in cui il film riesce a mantenersi a lungo in una zona di souplesse narrativa, in cui i microscopici movimenti della narrazione fanno da contraltare al fronteggiarsi di due visioni del mondo che alla fine si riveleranno inconciliabili.
E' vero che la tecnica cinematografica di Bechis tende a puntare verso una staticità troppo programmaticamente autoriale, e necesssiterebbe qua e là di una maggiore scioltezza, ma per buona parte del film si è catturati da questa immersione in un tempo senza storia, e per buona parte della pellicola il film si mantiene aperta la possibilità di risultare un vero e proprio capolavoro. La parte finale appare parzialmente deludente, peccando forse di un po' di schematismo e banalità, e , nel ventaglio di possibilità che la narrazione si mantiene a lungo aperte, non rappresenta forse il migliore sbocco possibile. Il film resta comunque una pellicola di livello più che ottimo, da parte di un signor cineasta dallo sguardo aperto ad orizzonti lontani, ma che paradossalmente oggi riesce anche a parlarci, in maniera trasversale, del presente del suo paese d'origine, dove si affacciano tentazioni di risolvere con autorità le contraddizioni di una società globalizzata e il confronto tra culture diverse, ma che è anche esso stesso uno di quei luoghi dove la globalizzazione e la mercificazione tendono a dissolvere ogni cultura locale.

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ermejofico

Reg.: 17 Ago 2005
Messaggi: 662
Da: roma (RM)
Inviato: 29-09-2008 10:44  
Non è male, ma se cercate vibrazioni herzoghiane resterete delusissimi.
Ve lo vedete Herzog ai margini di una foresta?
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"Che cosa te ne fai di una banca se hai perduto l'amore?"

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AlZayd

Reg.: 30 Ott 2003
Messaggi: 8160
Da: roma (RM)
Inviato: 30-09-2008 23:24  
quote:
In data 2008-09-29 10:44, ermejofico scrive:

Ve lo vedete Herzog ai margini di una foresta?




In che senso?


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oronzocana

Reg.: 30 Mag 2004
Messaggi: 6056
Da: camerino (MC)
Inviato: 06-07-2009 08:56  
Cannibal Holocaust è stato un film importante, decisivo, per la sua carica devastante ed orrorifica, nel distillare le gocce dell’autodistruzione del genere umano. Un’opera discussa e discutibile tutt’ora, una pellicola schifosa nel riprendere la omogeneità della violenza umana: con l’alibi, e l’idea di partenza, di una tribù di cannibali di un qualche paese non decifrabile dell’America Latina, Deodato sviscera(va), letteralmente, l’uomo schiavo di sé stesso e dello stile di vita che si è cucito addosso. Birdwatchers, al contempo, è una naturale evoluzione, una maturazione, del messaggio già passato su celluloide qualche anno prima. Marco Bechis, che fu regista dell’altrettanto duro Garage Olimpo sui desaparecidos argentini, delinea il trascorrere dei giorni di una comunità di indios brasiliani, delle zone del Mato Grosso: indios relegati nelle riserve che, al pari dei cugini nordamericani, non devono disturbare l’espansione dell’uomo bianco, arrivato lì già nel sedicesimo secolo.

La proliferazione dei fazendeiros, questa volta, coinvolge e distrugge le foreste del Brasile, con l’agricoltura intensiva che preme per le colture transgeniche e per i biocombustibili. Gli immensi territori sottratti alla natura, e alle tribù autoctone (Guaranì), per una disgraziata e folle corsa al consumo a buon mercato, sono la causa dei numerosi suicidi di cui è testimone (cinematografico) il regista italo-cileno. Un continuo e costante stillicidio di vite umane distrutte, una lotta al massacro tra pionieri colonizzatori e autoctoni, senza vincitori; con i bianchi prigionieri nelle ville e nei suv (oltre che negli immensi agglomerati urbani) e con gli indios schiavi, anche loro, del libero mercato.

Come un birdwatcher osserva in punta di piedi le specie del mondo animale (gli uccelli, in particolare), anche Bechis osserva (troppo?) passivo il divenire. Il procedere degli eventi senza un apparente sinergia, detona quando i due mondi arrivano al contatto (compreso quello fisico), con un faccia a faccia decisivo, per quanto didascalico, nell’espletare il bieco egoismo che contraddistingue l’attuale fase evolutiva (se così si può definire) del genere umano.

Non straordinario cinematograficamente, ma fondamentale.
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Partecipare ad un'asta, se si ha il Parkinson, può essere una questione molto costosa.
Michael J. Fox
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