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Autore Death race di P. W.S. Anderson
oronzocana

Reg.: 30 Mag 2004
Messaggi: 6056
Da: camerino (MC)
Inviato: 23-11-2008 11:58  
Quando un’opera può definirsi classica? Si potrebbe dissertare all’infinito su questo, ma sarà opinione comune il fatto che sopravvivere al corso degli anni sia una caratterista essenziale per la categoria suddetta. Dico questo perché il film in questione è un classico; precisiamo: è un remake di un classico, misconosciuto lungometraggio del 1975, con uno sbarbato Sylvester Stallone. Il titolo è quasi identico (Death race 2000 è l’originale), ma la struttura è totalmente differente, vuoi per il budget a disposizione di Anderson, vuoi per il diverso contesto storico e sociale. Se il film capostipite è una sorta di feticcio per molti cineamatori, considerando che ha ispirato Carmageddon (videogioco violentissimo e amatissimo, qui il superlativo non è soverchio), vista la nota comune del far punti investendo pedoni, e ha scolpito l’immaginario di gran parte del cinema post-apocalittico (la serie Mad Max è la più conosciuta e riuscita), questo gioiellino di Anderson diventa molto più politically correct del suo antesignano.
Ci troviamo di fronte alla feccia della società, siamo infatti in una prigione di massima sicurezza, in un futuro dove gli USA sono al collasso, dove chi amministra l’apparato militare, sia nazione che locale come quello di un penitenziario, è il demiurgo dell’era moderna.
Il plot non brilla di originalità, ma quello che interessa è la rivisitazione in chiave moderna di alcuni cliché della società americana. Scompaiono nel nuovo film i riferimenti politici (iconoclastia allo stato brado) e subentrano il machismo, la artificiosità dello show, la misoginia e in più il culto della bellezza femminile quasi tarantiniana (donna e auto sono in perfetto stile Death Proof, con tanto di particolari fetish). L’elemento comune, la guida, è sempre Frankenstein, ero mascherato che sopravvive sempre, ma questa volta il regista usa uno stile molto più composito, che va dalla patinatura tipica degli show televisivi (truccati), alla ruvidezza di un cinema senza censure, dove la regia diventa veramente gustosa, con un sapiente uso anche dello zoom, che oramai non si vede quasi più.
Un grande gioco in stile “first-come first-served” che non ha una semplice anima di intrattenimento, nascondendo un’astuzia vigile e sottile nell’esacrare… noi: tutti noi.


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Partecipare ad un'asta, se si ha il Parkinson, può essere una questione molto costosa.
Michael J. Fox
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[ Questo messaggio è stato modificato da: oronzocana il 23-11-2008 alle 12:18 ]

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kubrickfan

Reg.: 19 Dic 2005
Messaggi: 917
Da: gessate (MI)
Inviato: 01-12-2008 23:00  
lo vedo domani. legggendo il giudizio di oronzo non è totalmente una cavolata come pensavo ...
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kubrickfan

Reg.: 19 Dic 2005
Messaggi: 917
Da: gessate (MI)
Inviato: 06-12-2008 13:15  
confermo la buona impressione di oronzo.

Trama: Siamo nel 2012, e Jensen Ames vorrebbe rifarsi una vita, dopo un passato di eccelso guidatore ma anche di violento carcerato. Sembra potercela fare, ha una moglie amorevole e una figlia splendida, ma un giorno come tanti la prima viene uccisa e la seconda rapita. Oltretutto la morte della moglie viene attribuita a lui, che subisce una nuova carcerazione. Fortunatamente sembra avere una via di uscita:sostituire celato dietro una maschera un pilota morto in una gara. Se lo fa e la vince, ha di nuovo la libertà. Ma la competizione a cui deve partecipare non è assolutamente convenzionale, infatti ha un sinistro nome presagio di morte:Death Race.



Commento: Diciamolo subito per chiarire ogni pregiudizio:nei suoi limiti, questo film funziona. Paul W.S.Anderson (specializzato in cinegame, ha realizzato infatti Mortal kombat e il primo Resident Evil) confeziona un rutilante giocattolo di grande impatto visivo, pieno di adrenalina e di inseguimenti mozzafiato senza soluzione di continuità. Il protagonista Jason Statham, qui meno rozzo e cavernicolo del solito, si trova a suo agio dentro le automobili (ricordate la folle bilogia, tra poco trilogia, di The Transporter?) e avrà accettato con grande entusiasmo questa parte. La trama si rifà ad un film che si chiamava Anno 2000, la corsa della morte con protagonisti Sylvester Stallone pre fama mondiale (correva il 1975) e David Carradine, anche se rispetto a questo Death Race c'era un maggior respiro come zona da percorrere in quanto era una corsa da costa a costa, mentre questo si svolge quasi interamente in un gigantesco carcere di massima sicurezza, circondato dall'acqua e collegato da un lungo ponte alla terraferma.
Statham è Jensen, un uomo dalle grandi abilità di guida ma che si è macchiato di colpe verso la legge, per le quali è finito in carcere.
Uscitone, vuole vivere (siamo nel 2012) con la moglie e la figlia in tranquillità. Ma purtroppo la moglie viene uccisa, gli affibbiano la colpa della morte, mentre la figlioletta praticamente viene rapita e affidata ad una nuova famiglia. Jensen riceve dalla crudele e determinata direttrice del carcere (la interpreta una Joan Allen che è dura ed incazzuta come non mai, seppure inappuntabile in tailleur e vestiti d'alta moda quanto mai eleganti privi di eccessi) una proposta:il campione delle corse ad alto rischio di morte Frankenstein è rimasto ucciso nell'ultima gara (le modalità le vedrete nel prologo), qualcuno lo deve sostituire con tanto di maschera dorata per sembrare che lui sia ancora in corsa, alzando gli ascolti della competizione. Vista come unica possibilità di uscita dal carcere, Jensen accetta di gareggiare, ma le trame cospiratrici e i colpi di scena non mancano, come quello a sorpresa della conoscenza del navigatore che rischierà la pelle con lui:una stupenda ragazza mora (Natalie Martinez) compagna del defunto pilota mascherato.
Come si vede una trama non certo originalissima, ma è stata girata con tanta velocità, esagerazione nei toni e violenza (avrete parecchi schizzi di sangue in scena, la corsa è a eliminazione, fisica!) da poterla gustare come un piacevole e inaspettato divertimento. Botti, esplosioni, sorpassi e spari, sembra di assistere a una guerra, non a una gara. Anderson tratteggia con poco spessore alcune personalità (come il coach e il ragazzo "so tutto" delle liste, oppure rozzeggia visibilmente Tyrese Gibson in una versione masochista dopo essersi procurato la dose di vittime in gara), ma riesce ad imprimere un ritmo forsennato senza stancare, senza monotonia evitando di ripetere situazioni e modi in maniera pedante.
Il trucco delle armi di difesa o offesa prese passando sopra degli stemmi determinati è un altro richiamo ai videogames, infatti era la base del gioco Wipeout, passando sopra le icone si raccoglievano potenziamenti e bonus. Le bellezze che di solito si vedono nei film con protagoniste le auto (donne e motori, Fast and Furios insegna) sono limitate ad una carrellata al ralenty in mezzo al visibilio sguaiato dei carcerati, tra urla e gestacci, mentre l'ambientazione solita carceraria è del tutto inesistente, niente lunghe chiaccherate in cella, siamo sempre in una sorta di cantiere meccanico perenne, dove si elaborano le vetture per l'uso improprio di armi ed oggetti, dove i prigionieri si muovono liberi e senza manette, il contenimento è all'esterno e non dentro il circuito. Sembra che la stessa zona di gara sia senza la legge, non ci sono momenti in cui qualcuno può intervenire a sedare scontri, la polizia vive e lascia vivere in nome dello spettacolo che, con il sesso, agita gli animi e le voglie degli spettatori:lo spettacolo del sangue in diretta. Il film prende la direzione giusta da subito, tanta cattiveria, un uso spropositato degli effetti per un film di corse (fiamme sopratutto, ma rocambolesche carambole e incredibili salti) e via con l'adrenalina a mille (Statham ne avrebbe dovuta dare un po'al protagonista di Crank, altra sua cineprestazione attoriale), soddisfacendo lo spettatore venuto per cercare questo in pieno, anche perchè se lo spettacolo è a tutta grancassa, un fondo di correttezza nel procedere con il racconto e di intensità emotiva rimane, la cosa non pare artificiale, circoscritta alla futile mancanza di idee sopperita dall'azione a spron battuto che la incerotta, dove la felice mano produttiva dell'ottantaduenne Roger Corman (produttore anche del vecchio film con Stallone sopracitato) si nota in pieno, togliendo doverosamente ogni patina di buonismo e di correttezza.
Sulle immagini dei concorrenti scorrono i nomi come se si fosse ad un reality, una sorta di presentazione che ci porta alla televisione che non guarda a null'altro che all'audience, che vuoile ricordare dati, nomi per accapparare pubblico a tutti i costi (motivazione per cui Frankenstein viene riesumato nel corpo di Jensen).
In definitiva un film che soddisfa appieno le sue caratteristiche di divertimento puro e fine a se stesso, con delle scene d'azione e movimento senza interruzione, anche ben realizzate, dove Joan Allen è una specie di Lucifero dominatore in gonnella e Statham rientra nei suoi personaggi monocorde duri e puri senza essere ridicolo. A volte è anche bello entrare in sala, mettersi al volante e accendere i motori senza preoccuparsi di altro che essere sull'ottovolante. Non è per forza una esperienza negativa lasciarsi addietro gli stili puri per dedicarsi alle spensierate corse senza freno, dalle trovate grosse e grasse, dove la morte è un gioco accettato e condiviso sia dai protagonisti che dagli spettatori (uno dei piloti dice alla telecamera "fottimi!") sopratutto quando non c'è la minima intenzione di fregarci con giri fumosi di parole che nascondono ipocrisia.


pubblicato su Cine Zone
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Small982

Reg.: 15 Mar 2007
Messaggi: 185
Da: fano (PS)
Inviato: 10-12-2008 17:09  
non male davvero. Pure io mi aspettavo una cavolata. Invece è un bell'esercizio di cinema, imperdibile per i nostalgici

ciao!

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Death race

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