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Autore Renoir e La Grande Illusione (del cinema moderno)
Tristam
ex "mattia"

Reg.: 15 Apr 2002
Messaggi: 10671
Da: genova (GE)
Inviato: 25-02-2003 14:29  
meglio avere venduto i quadri di suo padre, che pure era un pessimo pittore, che essersi privato della possibilità di fare film...

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OneDas

Reg.: 24 Ott 2001
Messaggi: 4394
Da: Roma (RM)
Inviato: 25-02-2003 16:23  
Tanti registi, i più bravi, devono moltissimo a Renoir.
Ad iniziare dal più bravo di tutti: Orson Welles.
Welles, nelle lunga e imperdibile intervista con Peter Bogdanovich, ha sempre dichiarato che prima di girare Citizen Kane ha rivisto innumerevoli volte Ombre rosse, perché a lui, completamente a digiuno di tecniche cinematografiche (fino ad allora aveva lavorato in teatro e alla radio) serviva apprendere tutto il corredo tecnico necessario che probabilmente solo un grande artigiano come John Ford poteva fornirgli.
Stuzzicato da Bogdanovich – Welles sosteneva di non andare mai al cinema perché diceva che non riusciva a stare fermo seduto per due ore di seguito – ammise che senza Renoir, Quarto potere non sarebbe potuto essere lo stesso, e, probabilmente, neanche Welles sarebbe stato Welles.
E come dargli torto ?

I piani sequenza, di cui Welles è stato sommo realizzatore, trovano la loro matrice nella morbidezza con la quale la macchina di Renoir si muove all’interno delle messinscena. Ricordiamo il piano sequenza iniziale di Touch of evil (L’infernale Quinlan) ma soprattutto ricordiamo il piano sequenza, sempre del medesimo film, all’interno della casa del messicano accusato dell’esplosione. (Sequenza più amata da Welles perché dice “Nessuno se ne accorto, nessuno ha scoperto il trucco.- Welles era anche un prestigiatore e come tutti i prestigiatori temeva che qualcuno svelasse il trucco…). Questa è una scena di complicatissima realizzazione. Perché è piano sequenza girato all’interno di 3 stanze con molti personaggi che si muovono sul set ed anche con una notevole dinamicità. Qualcuno ricorda la scena de La grand illusion quando da fuori una finestra delle baracche adibite a prigione la macchina si muove prima a sinistra poi a destra fino ad insinuarsi all’interno delle abitazioni sfiorando e scansando gli attori sulla scena ?

Gli attori.
Pochi come Renoir sono riusciti ad ottenere il meglio dagli attori con i quali ha lavorato (da Jean Gabin a la protagonista femminile de Le regle de jeu – non mi ricordo come si chiama, scusate - lo stesso Von Stroheim sembra ispirato come poche altre volte sempre ne La grande illusione).
Ed anche Welles, al contrario ad esempio di quanto sosteneva Hitchcock, riteneva che gli attori fossero di importanza capitale per la riuscita di un film. A parte la meticolosa preparazione con la quale truccava sé stesso, peraltro grandissimo interprete, ha sempre amato, coccolato ed apprezzato gli attori con i quali ha lavorato. Quando parla di Joseph Cotten o di Akim Tamiroff, della stessa Rita Hayworth sua moglie che ne La signora di Shangai rende irriconoscibile con il trucco , o di Michael Mac Liammoir - lo Iago dell’Otello – lo fa sempre con estrema gratitudine e grande riconoscimento. Ricordiamo, invece, che Renoir riuscì a realizzare La grande illusione grazie alla testardaggine di Jean Gabin, così come Welles fu aiutato nella produzione di Quarto potere da Cottene e nella produzione di L’infernale Quinlan da Charlton Heston.
Pochi registi sono stati così amati da i loro attori…

I temi, i contenuti.
Apparentemente meno elevati quelli di Welles, ma solo apparentemente.
Infatti, anche quelli di Welles sono temi improntati ad un umanesimo travolgente. Umanesimo nel senso delle umane passioni. Potere (Citizen Kane), orgoglio e nobiltà (Gli Amberson), gelosia (Otello), ancora potere (Macbeth), ancora gelosia (Rapporto confidenziale), giustizia (Quinlan), potere e giustizia (Il processo). Il tutto ammantano, proprio come in Renoir, da una sensazione di pacata ma struggente nostalgia di un tempo che fu (Citizen Kane, Gli Amberson, Rapporto confidenziale, ma anche Otello, per non parlare di uno degli episodi mai visti di “It’s all true” o la storia di “The other side of the wind” ultimo film mai concluso da Welles con protagonista John Houston).

Renoir si volge al passato con la delicatezza di un orologiaio alle prese con un delicato meccanismo, Welles lo fa con lo sguardo di una di quelle statue che rappresentano dei mostri sulle facciate di una cattedrale gotica.

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mallory

Reg.: 18 Feb 2002
Messaggi: 6334
Da: Genova (GE)
Inviato: 25-02-2003 23:30  
bravo One...
proprio a questo punto volevo arrivare...

Renoir,indiscutibile maestria nel proporre un cinema precursore del neorealismo,un cinema che fa scuola non solo a Welles,come dici tu,ma anche a Rossellini grazie alla magnetica profondità di campo,rappresentata con lirismo,o ai lunghi e lenti piani sequenza,che si avvicinano e allontanano,ora dalla simbolicità che fa le veci di un metodo di narrazione,ora ad un realismo che si concretizza nell'interazione tra ambiente e personaggio;e che quindi solo per pochi rimandi ricorda un cinema come quello della nouvelle vague,perchè al contrario di quest'ultimo mantiene l'affezione alla convenzionalità del cinema come rappresentazione artistica e non come un approccio di totale scardinamento dell'artificiosità cinematografica,a favore di un realismo filodocumentaristico come può essere quello di Godard.
cos'altro..
si parla di realismo,ma il realismo è costretto a collaborare con la convenzionalità di un arte che non è ancora diventata "d'auteur",non c'è ancora quella completa padronanza del linguaggio tanto da evolversi in stile.
forse non mi è mai piaciuto Renoir,come credo che i fondatori della nouvelle vague,riconoscano come padri,quei Renoir o Carnè che si avvicinavano timidamente ad un diverso modo di proporre ciò che già era stato proposto,ma con improvvisazione e contemplazione,solo perchè è l'unica scelta.
perchè in fondo il suo cinema è solo lo spunto per qualcosa di davvero geniale come lo scardinamento di Jean-Luc.
non sto criticando i tentativi di Renoir,per carità,ma credo che allora,stipulando una sorta di compromesso con la convenzionalità della settima arte e instillando un realismo a suo uso e consumo,mi viene da dire che più che di "realismo poetico" si tratti di un"realismo teatrale"...
dove il "decadrege" non è a favore di una repressione della classicità della regia(come Godard che usa la macchina da presa per sfuggire al cinema e avvicinarsi alla realtà del cinema nel suo valore più estrinseco,mediatico se vogliamo)ma che discentra le inquadraure per "riempire la scena".
allora mi accosto con drasticità ad una metodologia cinematografica opposta,come può essere quella di Hitchcock,che a dispetto del realismo si getta nella artificiosità più ricercata e macchinosa,dove non esiste improvvisazione,dove ogni mancanza di casualità delinea uno stile unico e irripetibile,dove la mdp non segue il pesonaggio ma lo incatena ad una rappresentazione che aderisce ad una perfetta costruzione,persino nell'ambiguità che ne scaturisce,un'ambiguita architettata ad arte.
il mio gusto è agli estremi di una cinematografia realista fino in fondo,o di una cinematografia artificiosa al parossismo,che poi si incontra nella stessa concezione che personalmente ho della settima arte.


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Tristam
ex "mattia"

Reg.: 15 Apr 2002
Messaggi: 10671
Da: genova (GE)
Inviato: 26-02-2003 03:17  


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mallory

Reg.: 18 Feb 2002
Messaggi: 6334
Da: Genova (GE)
Inviato: 26-02-2003 15:28  
Bene matteo...
ti ho letto molto attentamente,e credo che a questo punto sia facile perdersi in digressioni fuorvianti,perciò è giusto dire che condivido ciò che dici,probabilmente ho espresso le stesse osservazioni da un punto di vista differente...
quello che mi sento di approfondire è il discorso sullo stile che,in questo caso,occupa un posto nel significato cinematografico del termine "modernita"...
bè quello allora lo si può definire uno stile di modernità,ma non un attributo identificabile nell'autore.
Lo stile al quale mi riferisco io,è quell'originalità nella metodologia di adattamento del cinema alla soggettività espressiva di un cineasta,dell'autore che prende le leggi della regia classica e li esaspera alla perfezione visivo-comunicativa,o li scardina a favore di un'esplicazione realista.
per questo non riesco a classificare il cinema di Renoir come un esempio lampante di stilismo,ma solo un previo spunto di quelli che saranno i futuri esercizi di stile,che si avvarranno delle velleità del cinema di Renoir.
dunque dicevo,stile di modernità,questo si,quindi inserimento di profondità di campo e pianosequenza,tecnica stilistica o lirismo di rappresentazione?il passo è breve,certo ma bisogna cercare di fare una distinzione se non si vuole cadere nel giudizio preconfezionato della critica indottrinata,che nasce dalla nouvelle vague e che pare non abbia subito più alcun tipo di cambiamento,nonostante i parametri si siano centuplicati con il tempo...e questo è innegabile...quegli stessi canoni secondo i quali oggi,guardando un film di Stone,viene da dire:<ma dov'è l'arte?>.e invece no,l'arte c'è,eccome se c'è,perchè quella che tu chiami "politica degli autori"(e che a me fa incazzare a morte)in fondo ha il potere di pregiudicare fortemente l'obiettività.
con questo non intendo dire che non esistano dei modelli dai quali apprendere e impostare una disamina cinematografica,ma bisogna fare attenzione a non limitarne la cronologia storico-cinematografica ad un punto prestabilito.

questo stesso discorso che affrontiamo ora,in maniera certo più umile,venne già affrontato da quei critici dei Cahiers du cinema,che furono allora in grado di decretare una modernità che solo in seguito si elaborerà in stile.
il passaggio che segna la distinzione non è facilmente delineabile,ma credo che si possa dire,in termini,che il cinema di Renoir è fortemente legato ad una "messa in scena",per quanto innovativa,certamente univoca,e quindi non ad una "messa in presenza" che concretizza uno stile.
Secondo Gilles Deleuze il cinema era fortemente legato alla temporalità dell'immagine,ma anche lui non intende lo stile nel classificare le scelte registiche del suo osannato Renoir.

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OneDas

Reg.: 24 Ott 2001
Messaggi: 4394
Da: Roma (RM)
Inviato: 03-07-2003 16:50  
I drappi neri furono quelli usati dallo scenografo (Perry Ferguson che poi lavorò anche con Hitch in Rope) di Citizen Kane per supplire al taglio del budget che la Rko aveva imposto al film di Welles. Drappi neri furono messi in fondo alle scene per acuire la profondità di campo e permettere il "fuoco" che Welles desiderava. In luogo di sontuose, e costose, quinte la profondità era assicurata da qualche pezza di velluto nero. Fu costruito l'enorme camino che campeggia dietro le scene familiari del cittadino Kane e la scalinata rinascimentale fi ridimensionata a scalea di una ricca villa ma niente di più. Il resto è tutto un movimento di macchina.
Qualcosa di simile fece il nostro artigiano Renoir nella scene dello stalag tedesco : la mdp si muove, ora avanti ora indietro, scivola sui personaggi e sulle scene, in apparente contro movimento con la macchina, la focale si stringe e si allarga.
La mdp è una piccola anima che si insinua tra le cose e gli uomini. E' una chiave che la cui porta che apre rivela uno scenario che varia a seconda della sensiblità dello spettatore.
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Tristam
ex "mattia"

Reg.: 15 Apr 2002
Messaggi: 10671
Da: genova (GE)
Inviato: 04-07-2003 16:23  
Si e'proprio un bel topic questo....
Appena posso riguardo il film e mi annoto queste ultime cose dette... soprattutto su Welles e i movimenti di macchina di Renoir...
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"C'è una sola cosa che prendo sul serio qui, e cioè l'impegno che ho dato a xxxxxxxx e a cercare di farlo nel miglior modo possibile"

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OneDas

Reg.: 24 Ott 2001
Messaggi: 4394
Da: Roma (RM)
Inviato: 04-07-2003 16:28  
quote:
In data 2003-07-04 16:23, Tristam scrive:
Si e'proprio un bel topic questo....
Appena posso riguardo il film e mi annoto queste ultime cose dette... soprattutto su Welles e i movimenti di macchina di Renoir...



aproposito, sai se c'è una versione in dvd ? (anche in originale)
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sandrix81

Reg.: 20 Feb 2004
Messaggi: 29115
Da: San Giovanni Teatino (CH)
Inviato: 06-08-2005 05:32  
splendido sto topic, lo riporto in alto approfittandone per dire modestamente due cosette.

come giustamente diceva One, "Tanti registi, i più bravi, devono moltissimo a Renoir". Si è parlato di Welles, di Rossellini e di Truffaut come eredi, o - meglio - continuatori, e di Godard e di Hitchcock come oppositori (o, più correttamente, come rappresentanti di un diverso modo di fare cinema).
Nella prima schiera, il primo nome che mi sentirei di aggiungere è di certo quello di Ingmar Bergman, allo stesso livello degli altri citati, e forse ancora di più. Perché, se Welles, Rossellini e Truffaut sono stati influenzati da Renoir nella loro idea di cinema, Bergman ne ha ripreso anche diversi stilemi e soluzioni di costruzione dell'immagine.
Ci sono, ne La grande illusione, almeno tre inquadrature che richiamano immediatamente, mnemonicamente, Il settimo sigillo. Sono tutte e tre inquadrature in esterno giorno, due piani medi con i personaggi ripresi frontalmente (in una c'è un solo personaggio, nell'altra ce ne sono due affiancati), e un campo lungo con i personaggi che attraversano il campo orizzontalmente. Durante la visione del film (era la prima volta che lo vedevo, per cui ero più attento allo stile di Renoir che ad eventuali collegamenti a pellicole successive) mi è capitato, appunto, per tre volte di pensare "cazzo [essì, sono volgare anche quando penso], ma questa inquadratura c'è uguale ne Il settimo sigillo!". Il problema è che ora non ricordo nulla su quelle inquadrature oltre quello che ho già scritto.
Ma, aldilà di tre o quattro o quaranta inquadrature uguali, a pensarci bene un attimo si nota che c'è proprio un certo modo di costruire le scene che Bergman deve quasi completamente a Renoir. Così, in interni come in esterni (e quindi anche nelle tre inquadrature di cui sopra), lo sfondo non è mai solo tale, la scena (intesa appunto come sfondo, scenografia,...) è parte integrante della messa in scena (lo diceva anche Das, se non erro). La natura viene esaltata nella sua magnificenza rispetto alla triste artificiosità dell'opera umana, così gli esterni (sia che l'orizzonte sia posto sul quarto superiore che sul quarto inferiore) sono sempre molto illuminati, vivi, gioiosi, mentre gli interni sono cupi, bui, spesso con una sola e fioca fonte di luce, tanto più scuri quanto triste sia ciò che avviene o viene detto sulla scena (le scene finali, nella casa di Elsa/Dita Parlo, sono molto più illuminate rispetto, ad esempio, ai colloqui tra Fresnay e von Stroheim). Dunque domina una certa visione pessimistica dell'uomo, bilanciata in entrambi i film (anche se in modi e vie diversi) da una forte speranza nell'essere umano stesso.


Sono andato un po' per associazioni d'idee, un po' a caso, non so bene che ho scritto. insultatemi a dovere, poi domani passo e (ri-)leggo, e eventualmente aggiusto.


Ci sarebbe poi, passando proprio per Bergman, da dire qualcosa anche sull'influenza di Renoir (e de La grande illusione) su Woody Allen (penso in particolare a Amore e guerra e ad Ombre e nebbia). Ma non è ora il momento giusto.
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Quando mia madre, prima di andare a letto, mi porta un bicchiere di latte caldo, ho sempre paura che ci sia dentro una lampadina.

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Marienbad

Reg.: 17 Set 2004
Messaggi: 15905
Da: Genova (GE)
Inviato: 06-08-2005 17:00  
Belin, e dire che manco mi ricordo di tutte quelle cose che ho scritto...

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8ghtBall

Reg.: 04 Feb 2004
Messaggi: 6807
Da: Cesena (FO)
Inviato: 06-08-2005 18:42  
Erano comunque belle cose, vale per tutti
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