coriander
Reg.: 23 Ott 2003 Messaggi: 98 Da: napoli (NA)
| Inviato: 02-11-2003 18:06 |
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l’analisi di questo film dovrebbe in realtà inserirsi in un discorso più generale su alcune caratteristiche del cinema, ma a volte mi piace cominciare dai rami, anziché dal tronco, poi si vedrà.
una premessa: inevitabile è per il cinema veicolare frammenti di realtà, realtà manipolata, selezionata, edulcorata, quindi memoria.
e per sfruttare ed esaltare questa sua caratteristica, il cinema quando vuole testimoniare, conservare memoria, rallenta: si articola prevalentemente su piani fissi e piani sequenza evitando il montaggio all’interno delle scene, si sofferma su particolari e dettagli, preferisce l’immagine alle parole.
sono le scelte predilette dal cinema (d’autore) cinese contemporaneo, mutuate in gran parte da quelli che erano stati gli stilemi del neorealismo e della nouvelle vague.
“che ora è laggiù” (tsai ming liang, 2001) testimonia l’incertezza, il timore, la diffidenza per un’epoca “sospesa”. il film apre con un piano fisso che racchiude: un tavolo su cui poggia una pentola verde, più dietro una piccola cucina, più dietro un balconcino ed una pianta in un vaso. un anziano signore si muove lentamente lungo la profondità del quadro, dopo un paio di minuti accende una sigaretta; poco prima della completa consumazione della stessa (quindi dopo 4 o 5 minuti) la scena cambia. è un incipit che offre ming-liang per metterci a nostro agio, per informarci della sua continuata adesione alla causa abbracciata col bellissimo “rebels of neon god” nel 1992, per rassicurarci.
il protagonista, un venditore ambulante d’orologi, intimamente colpito da una sua cliente poi partita per parigi, decide di regolare tutti gli orologi di taipei sul fuso orario della capitale francese. la sua storia si intreccia con quelle della follia della madre per la perdita del padre e delle solitarie avventure della ragazza a parigi.
la macchina da presa molto si sofferma sui loro visi, sulle loro figure di persone prodotto del loro tempo, persone segnate dalla totale impossibilità di comunicazione. l’idea stessa di comunicazione è soffocata dall’inesistenza di un contatto umano che presupponga sentimento o partecipazione.
spesso la scena è incorniciata ed ingabbiata da linee orizzontali, si osservano con voyeurismo quasi documentaristico personaggi aldilà di una porta-squarcio nel muro: ciascuno è chiuso nel suo quadro fermo, ad affrontare in solitudine i propri fantasmi.
alla interazione fra persone si sostituisce una ossessione per gli oggetti, il più delle volte simboli temporali. ossessionato dal tempo il protagonista cerca un legame attraverso la manomissione dello stesso. ruote panoramiche e piccoli mulini ad acqua girano in senso orario ed antiorario, e forse il tempo è in realtà manipolabile in una realtà rielaborata se [spoiler] il padre del protagonista può effettivamente ricomparire, dopo la sua morte, in altro luogo ed in altro spazio: una realtà cinematografica che si sostituisce a quella direttamente sensibile, senza che sia possibile, né utile, distinguere fra l’una e l’altra.
un altro legame, spaziale, il protagonista lo trova invece nella visione ripetuta de “i 400 colpi” di truffaut.
cinema, quindi, per proiettarsi in una realtà sconosciuta, tempo e cinema le due ossessioni che in definitiva coincidono se sono il tempo stesso e la sua riconfigurazione l’anima dell’espressione cinematografica, la base della narrazione contemporanea.
[ Questo messaggio è stato modificato da: coriander il 02-11-2003 alle 18:07 ] |
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