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Autore Exils, di Tony Gatlif
Petrus

Reg.: 17 Nov 2003
Messaggi: 11216
Da: roma (RM)
Inviato: 25-11-2004 11:46  
All’ultima mostra del cinema di Cannes, la giuria, presieduta da Quentin Tarantino, non deve di certo aver avuto l’imbarazzo della scelta se, al fianco del vincente Moore, ha consegnato la palma d’oro di miglior regia al francese Tony Gatlif, per questo Exils.
La storia è incentrata interamente sul viaggio dei due ragazzi, fidanzati-amanti, dalla sorniona vita parigina verso la riscoperta delle proprie origini, in Algeria.
Per raccontarcela, Gatlif usa l’attore caro al collega Klapisch, Romani Duris, già alle prese altre volte con Gatlif stesso, e la discinta e disinibita Lubna Azabal, adatta alla parte della distratta e sguaiata franco-algerina.
L’esordio è folgorante. La prima sequenza ci proietta in un mondo registica interessante e seducente. E così di seguito per la prima ora. Gatlif si diverte ad alternare stringenti inquadrature che sfruttano al massimo il fuoricampo a lunghe traiettorie che dipingono e marcano lo spazio di manovra della macchina da presa.
Memorabile poi un’inquadratura che riprende un dialogo inquadrando il riflesso ondulato di una pozza d’acqua.
Il tutto appare in forma quasi autobiografica (lo stesso Gatlif è franco-algerino). Il regista si sofferma, soppesa, alcuni momenti piuttosto che altri. L’attenzione è incentrata su un personaggio più che sull’altro.
Il carisma e l’affiatamento script-macchina da prea, nella prima ora di film, sono coinvolgenti.
Ma esaurita la spinta propulsiva del tema del viaggio, abbandonato il vecchio continente, si ha quasi l’impressione che Gatlif non sappia più che fare con la storia che ha per le mani. Tutto quello che gli stava a cuore l’ha già espresso visivamente, non gli rimane che trovare una degna conclusione, ma falsa, fittizia, non sentita.
Così, in particolar modo gli ultimi venti minuti, scivolano via nel più totale disinteresse, tra scene forzatamente inebrianti e forzosi contrasti tra rumori assordanti e silenzi di tomba.
Il film forse meritava la palma d’oro alla regia per la prima parte, ma, è indubbio, che un regista debba essere capace di portare a termine con uguale coerenza ed eleganza la propria opera, senza sbalzi o cedimenti.
Così, quello che poteva essere un piccolo cult, passerà via in sordina, preda dei soli cinofili onnivori.

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"Verrà un giorno in cui spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate"

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MrOrange

Reg.: 28 Dic 2003
Messaggi: 463
Da: matera (MT)
Inviato: 27-11-2004 02:52  
Ho visto ieri sera l'anteprima di questo bellissimo film di Tony Gatlif vincitore del premio per la migliore regia al festival di Cannes. Uno stupendo road movie,con i due protagonisti che viaggiano alla ricerca delle proprie origini e della propria identità,ambientato tra una caliente l'andalusia e un'algeria devastata dal terremoto ma con tanta voglia di vivere,tutto al ritmo di techno e flamenco.
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Ti spiace se me la sparo qui? - Ehi...mi casa su casa...

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Michi81

Reg.: 08 Giu 2004
Messaggi: 3120
Da: Lugano (es)
Inviato: 27-11-2004 08:02  
C'è già un topic sullo stesso film di Petrus (25-11-2004): potete accorpare i due.

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AlZayd

Reg.: 30 Ott 2003
Messaggi: 8160
Da: roma (RM)
Inviato: 09-12-2004 23:58  
Il cinema di Tony Gatlif, sostanzialmente misconosciuto in Italia, meriterebbe di essere riscoperto ed apprezzato da un pubblico più numeroso. Le uniche opere del regista francese, regolarmente distribuite – Vengo, del 2000, il cui pessimo doppiaggio ne mistifica il carattere sanguigno e passionale, e il delizioso, poetico Swing, del 2002 - transitarono nelle rare e semideserte salette nostrane alla velocità della luce, con un battage promozionale ben al di sotto del comune senso (filmico) del pudore! Altre pellicole più datate, quali Latcho Drom e Gadjo Dilo, non di meno tra le più significative ed affascinanti di Gatlif, seguitano ad allietare i frequentatori delle rassegne un po’ rare e “corsare”, nonché gli abbonati delle pay tv. Nato in Algeria nel 1948, con sangue rom e berbero nelle vene, condividendo la sorte toccata a molti connazionali costretti ad abbandonare il loro paese, negli anni ’60 Tony Gatlif si ritroverà esiliato in Francia. Privo di risorse economiche, dopo lunghi anni di disadattamento sociale ed esistenziale, di vita di strada che lo porterà a saggiare più volte la triste realtà del carcere minorile, recuperata infine la passione filmica nata in Algeria, nel 1973 potrà girare il suo primo cortometraggio. In trent’anni di attività, fino ad oggi, realizzerà ben 19 pellicole, “corti” inclusi. Tra queste brilla Lathco Drom, magnifica opera documentaria che ripercorre la lunga rotta della musica nomade, dal nordovest dell’India attraverso le regioni della Turchia, dell’est europeo, del nord Africa e della Francia, sottolineando la coesione culturale delle varie espressioni musicali, fino ad approdare nella Spagna del flamenco gitano che conserva intatte le componenti spirituali della musica Sufi, in una sorta di continuità ideale con l’ineffabile canto d’oriente. Lathco Drom ottenne numerosi riconoscimenti festivalieri, tra cui il premio “Un Certain Regard”, Cannes 1993, ed il premio “miglior film sperimentale della critica cinematografica americana 1996”. E’ ancora la giuria del Festival di Cannes 2004, presieduta da Quentin Tarantino, ad assegnare a Tony Gatlif il meritatissimo premio alla miglior regia per Exils. Tutte le opere di Gatlif raccontano la nostalgia lirica, il grande anelito di libertà delle culture nomadi, il loro stile di vita, soprattutto le loro musiche, le loro danze. L’immancabile musica, elemento essenziale del progetto poetico di Gatlif - egli stesso ottimo autore delle musiche dei suoi film - in grado di esprimere al posto delle parole e delle immagini, come le parole e le immagini, lo spirito vivo e la natura sensibile delle genti gitane. Exils, opera che contiene molti elementi autobiografici -“il film non è nato da una semplice idea ma dal desiderio di riflettere sulle mie ferite. Ho impiegato 43 anni per tornare nella terra della mia infanzia, l’Algeria. Circa 7000 chilometri di percorso in auto, bus, nave e a piedi, oltre a 55.000 metri di pellicola”, afferma il regista –, narra le vicende di Naima e Zano, quando, adolescenti, si ritroveranno costretti ad abbandonare con i genitori l’Algeria. Giunti a Parigi, rimasti soli in seguito ad una serie di tragiche circostanze, avendo smarrito, da esiliati, le proprie radici culturali, impossibilitati ad integrarsi pienamente nel nuovo spersonalizzante contesto metropolitano, quindi ad esprimere la natura più autentica delle loro spiritualità, finiranno entrambi col subire un profondo e frustrante disagio pisco-esistenziale. “Sono una straniera ovunque” afferma l’inquieta Naima. Zano propone così alla sua compagna un viaggio a ritroso verso l’Algeria, per ripercorrere i luoghi delle loro memorie e nostalgie, nel tentativo di riconquistare le perdute identità. Metafora di un travaglio interiore, il lungo viaggio ha inizio ancora una volta sotto l’egida della musica che assume un ruolo di primaria importanza, determinante ai fini della "guarigione" della giovane coppia. Naima e Zano attraversano la Francia e la Spagna, sostando a lungo in Andalusia prima di imbarcarsi per l’Algeria. Riassaporano in tal modo la libertà piena ed entusiasmante, inebriati dalle assordanti musiche techno ascoltate in cuffia; dal flamenco vivo e sensuale suonato, cantato e danzato dai gitani di Siviglia; dai colori e dalle luci della natura e delle cose; dalle acque e dai boschi; da un giorno di pioggia; dal monotono e musicale sferragliare dei treni; dai rumori e dai silenzi, urbani e campestri; dagli spazi sterminati ed abbacinanti della Spagna; dalla sensualità dei loro corpi nudi; dal loro sfacciato e giocoso, mai volgare, desiderio di sesso; infine dal loro ritrovarsi. Conosceranno l'affettuosa e complice solidarietà di alcuni clandestini africani e magrebini diretti in Francia in cerca di fortuna e di esilio. Giunti a destinazione, la persistente insofferenza di Naima che stenta a "riconoscersi" in quel mondo che le appare ancora alieno, svanirà infine durante il rituale Sufi che raggiunge il culmine nella trance liberatoria e catartica. Per Naima e Zano è il giunto il momento di superare frustrazioni, angosce e paure, di rinascere a se stessi e recuperare serenità interiore. Tale scena, un estenuante piano sequenza della durata di dieci minuti esatti (difficile accorgersi di eventuali stacchi), magnificamente girata con una macchina a mano mobilissima, avvolgente ed instancabile, perfettamente calata nel rituale, possiede, al pari della musica, un vigore espressivo tale da spingere lo spettatore ad identificarsi in quella sorta di “esorcismo” liberatorio. Opera di poche parole e di grande impatto visivo, a tratti semi-documentaristica, Gatlif gira ogni scena con mano sicura ed ispirata, innamorato come sempre del suo soggetto che sviluppa ricorrendo ancora una volta ai più delicati accenti narrativi e figurativi, riconfermando il suo grande talento poetico. Ottimo l'apporto della coppia di interpreti, "naturale" come conviene ad una pellicola sensibile e vitale, commossa e commovente. Exils è una vera delizia per gli occhi e per le orecchie.

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"Bisogna prendere il veleno come veleno e il cinema come cinema" L. Bunuel

[ Questo messaggio è stato modificato da: AlZayd il 10-12-2004 alle 00:04 ]

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AlZayd

Reg.: 30 Ott 2003
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Da: roma (RM)
Inviato: 10-12-2004 00:34  
quote:
In data 2004-11-25 11:46, Petrus scrive:
Così, quello che poteva essere un piccolo cult, passerà via in sordina, preda dei soli cinofili onnivori.





CAVE CANEM!

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"Bisogna prendere il veleno come veleno e il cinema come cinema" - L. Buñuel

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