La Petite Lili
Liberamente tratto da "Il gabbiano" di Cechov, l'ultimo film di Claude Miller tenta in maniera forte di portare una atmosfera teatrale al cinema. D'altra parte il film si svolge quasi tutto in due ambienti: una villa di campagna ed un teatro di posa (con l'intermezzo di una casa parigina).
La storia è quella di Julien, un giovane regista (interpretato da Robinson Stévenin), perennemente in lite con sé stesso e con gli altri. La giovane Lili, ragazza del luogo (Ludivine Sagnier) riesce un pò a stemperare la foga del ragazzo, almeno fino a quando decide di scappare a Parigi con l'amante della madre di Julien, affermato regista (Bernard Giraudeau). Scoppia la tragedia.
Miller ha cercato di rifare Cechov ma si è avvicinato molto più a Proust. Le "intermittenze" della memoria, pensiero cardine del romanzo dello scrittore parigino, sono infatti la chiave del film, che ad un certo punto sfocia in una sorta di metacinema (il film che racconta il film). Forse nella loro pacatezza e nei loro silenzi gli unici personaggi veramente cechoviani sono il nonno (il bravo Jean-Pierre Mareille) ormai stanco, e Jeanne-Marie (l'altrettanto brava Julie Depardieu) eterna innamorata di Julien. Per il resto tutti gli altri personaggi sono dipinti in maniera alquanto didascalica. Tutti hanno un dolore profondo che è raccontato sopra le righe e che sembra assolutamente insincero. A prescindere dalla madre (interpretata dalla pur brava Nicole Garcia), i due giovani interpreti che dovrebbero rappresentare il dolore profondo di due anime allo sbando (prima lui e poi lei) non riescono assolutamente nell'intento: sembrano due fighetti che si crogiolano nel loro "sentire". E poi tutte le cose che dovrebbero lasciare un segno indelebile (sentendo, loro, tutto all'ennesima potenza) passano così come se niente fosse.
C'è da dire che una parte del giudizio negativo sui due personaggi è dato anche dal doppiaggio (vizio non imputabile al regista), che nel caso di Lili è assolutamente ridicolo: rende il parlare della ragazza decisamente monocorde e senza sfumature, quasi rincretinendola (io spero che "l'intonazione" originale della Sagnier sia diversa).
Comunque, a prescindere dal doppiaggio, il film ha continui momenti di calo, sembrando in certe parti molto slegato. Molti, parlando di Miller, tirano in ballo il nome di Truffaut, di cui il regista è stato collaboratore. Ad alcuni "La petite Lili" potrà far venire in mente "Effetto notte", ma io trovo questo paragone un pò forzato, essendo questo un film sul fare cinema e sull'amore per un mezzo di comunicazione straordinario, mentre la pellicola di Miller è più un film sul ricordo e su una maniera letteraria di "svelare" il cinema. Però si potrebbe prendere ad esempio un altro film del maestro della Nouvelle Vague: "La camera verde" (il paragone lo tira in ballo Miller stesso che nel suo film ne fa vedere il manifesto). Certo è che tutti e due i racconti parlano di un attaccamento al passato, come "giustificazione" del presente, ma se in Truffaut questo passato riesce a svelare una profondità che non si può negare, in Miller il passato diventa soltanto palcoscenico per un presente che rende il tutto uno spettacolo. E neanche dei migliori.

Renato Massaccesi

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