imperdibile il cameo di Borroughs, il + grande drogato di tutti i tempi, uxoricida giocando a Guglielmo Tell.
Film parecchio bello, con solita (per quel periodo) grande interpretazione di un Matt Dillon super paranoico.
Molto diverso da Trainspotting invece. Se da una parte i drogatelli scozzesi ispirano simpatia con la loro carica di vitalismo e canzoni, dall'altra gli svaligiatori di supermercati e ospedali di Portland incutono un totale senso di smarrimento e vuotezza. Per il protagonista (Matt "Rusty James" Dillon) non c'é nulla per cui valga la pena impegnarsi nella vita: né l'affetto dei genitori né quello della ragazza (che tuttavia richiede più attenzioni). Sarà la morte della fidanzata del suo amico a convincerlo a seppellire il proprio passato per dedicarsi ad una vita monotona e squallida, quantomeno onesta. Le canzoni country degli anni '70, epoca in cui la vicenda si svolge, la fotografia plumbea e il messaggio anti-mediatico (caricato poi dal discorso finale del prete interpretato da Bourroughs) contribuiscono a fare di Drugstore-Cowboy uno dei migliori film di Gus Van-Sant.
Atipico, secondo me, rispetto all'archetipo cinematografico associato alle tematiche legate a "droga e dintorni" e che ha trovato in "Trainspotting" e "I ragazzi dello zoo di Berlino" le sue più tipiche, e se vogliamo forse un po' ovvie, espressioni.
La caratteristica di questo film è di non essere eclatante ed urlato come suggerirebbe il tema, non risultano infatti particolari intenti di spettacolarizzazione (Trainspotting) o di ammonimento sociale (I ragazzi dello zoo di Berlino). Risulta invece essere quasi intimistico, l'attenzione è incentrata sui personaggi; questi però ci raccontano molto poco di loro in maniera diretta, quasi come fossero fantasmi sfocati dalla cinepresa, fragili sfuggenti e volatili ma molto presenti, e molto complessi.
Il minimalismo comunicativo non comporta comunque una debolezza di comunicazione, anzi, solo che invece che detto tutto viene suggerito, sussurrato.
Molti scorci hanno la banalità e lo squallore del quotidiano (ad esempio le scene nelle quali il protagonista lavora in fabbrica durante il programma di disintossicazione), ma è proprio questa la particolare bellezza della pellicola (che si apprezza maggiormente in un'epoca di comunicazione martellante e ridondante).
Molto bella e curata anche l'ambientazione, anni '70 che sono terra di nessuno tra la variopinta psichedelia narcotica dei '60 e il crack e la violenza degli '80; anni '70 che sanno anche un po' di romanzo pulp e albori di beat generation degli anni '50.
Come tutti gli ottimi film in ogni caso, non piacerà e non si lascerà vedere ai più.