Ovunque sei
In concorso alla 61° Mostra del cinema di Venezia, Michele Placido ha presentato il suo ultimo film "Ovunque sei". A metà tra "Il sesto senso" e il "Fu Mattia Pascal", l'opera, non ha né la sorprendente originalità del primo né, tanto meno, la profondità del romanzo di Pirandello.
La premessa del film (15 minuti di prologo per un minutaggio complessivo di 85…) è l'incidente stradale subìto da Matteo, medico di pronto soccorso, su di un'autoambulanza assieme ad Elena sua tirocinante. Detto incidente, manco a dirlo, avviene mentre la moglie Emma è al telefono con Leonardo suo collega ed amante. Matteo, o il suo spirito, o la sua essenza (scegliete voi in base alle vostre credenze e convinzioni) torna a casa, rivede le amate mura, si ferma nella camera delle figlia Ada. Ma l'attrazione verso la giovane Elena, e, la vaga sensazione che il suo rapporto con la moglie non fosse proprio brillantissimo, lo allontaneranno sempre di più dalle blandizie della sua vita terrena per congiungersi, in una sorta di abbraccio ultraterreno, con la bella ed attraente Elena, sua compagna nello sventurato (ma quanto sventurato ?) incidente.

Film ambizioso se non pretenzioso che lascia di stucco per la povertà delle soluzioni narrative e la superficialità con il quale viene trattato l'argomento. La sceneggiatura, frutto di un lavoro ad otto mani (oltre a Placido vi hanno lavorato Umberto Contarello, Francesco Piccolo e Domenico Starnone) non affonda mai il colpo preferendo barcamenarsi tra i clichet di una quotidiana squallida storia di corna matrimoniali e i tentativi di una metafisica dell'esistenza snocciolati in leziosi monologhi fuori campo.

La regia di Placido, peraltro, non aiuta ad elevare la mediocrità del copione. Un modo di girare piatto e scontato che diventa quasi irritante quando si tentano soluzioni ad effetto come ad esempio la nevicata che ricopre Roma (l'ultima volta fu nel 1985…) o la scena finale dei corpi nudi di Accorsi e Violante Placido che sfumano in una luce accecante. Scelte stilistiche che, in un contesto più estetizzante a sostegno di uno script solido e coerente, avrebbero potuto avere una loro ragion d'essere. Ma non è il caso di questo film.

Il cast non puà fare a meno di adeguarsi alla modestia dell'opera. Stefano Accorsi (Matteo) continua a recitare il personaggio del poeta Dino Campana ("Un viaggio chiamata amore"): melanconicamente folle o follemente melanconico (scegliete voi…). Violante Placido è tutta faccine e sorrisini, Stefano Dionisi ha una smorfia antipatica che lo accompagna per tutto il film. Si salva solo la Bobulova. Forse perché il suo personaggio è l'unico ad avere una sua compiutezza ed una sua struttura. Un film deludente e presuntuoso: come voler fare il salto con l'asta, senza l'asta.

Daniele Sesti

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