26 Ottobre 2008 - Conferenza stampa
"Il passato è una terra straniera"
Intervista al regista e al cast.
di Federico Raponi

Alla conferenza stampa per la presentazione de "il Passato è una terra straniera" al 3° Festival Internazionale del Film di Roma sono intervenuti il regista Daniele Vicàri, per il cast artistico Elio Germano, Michele Riondino, Chiara Caselli, Valentina Lodovini, Romina Carrisi, Maria Jurado, gli sceneggiatori Gianrico Carofiglio, Francesco Carofiglio, Massimo Gaudioso, il produttore Domenico Procacci.

Perchè ha scelto questa storia?
Daniele Vicàri: il romanzo mi ha colpito profondamente perchè estremamente moderno, legato ad un modo di fare letteratura - molto attento ai chiaroscuri della società - che per fortuna sta prendendo piede, e mi ha trasmesso qualcosa di antico, simile ai romanzi dell''800 in cui i protagonisti non sapevano chi fossero e cosa facessero. E questa crisi d'identità è molto presente nel libro: il protagonista, senza freni inibitori, dilaga in qualcosa di immondo. L'identità è un elemento centrale in questo momento storico nella nostra società, sia dal punto di vista culturale che psicologico, ed è universale, perchè il racconto di una vicenda a cavallo tra due momenti storici non tramonterà mai. Ho voluto subito farne un film, lo trovavo doveroso, e in questo la storia aveva il vantaggio di non rimanere schiacciata sul racconto dei fatti, ma lasciava possibilità alle caratteristiche espressive del cinema.

Come avete lavorato sull'interpretazione?
Michele Riondino: un'esperienza diversa da quelle altre cinematografiche che ho avuto. Una preparazione abbastanza rigida che mi ha riportato a quella teatrale, e ha fatto in modo che si andasse a fondo della condizione di disagio dei due protagonisti, solo apparentemente diversi perchè provenienti da realtà lontane tra loro. Con Elio abbiamo lavorato sui richiami che il libro dava, riducendone le parole, ed io ho fatto un lavoro di ricerca sulla storia del mio personaggio, abituato a mostrarsi, dimostrare, individuare un nemico da umiliare come succede nelle classiche partite di poker. Sono entrato in simbiosi con un personaggio differente da me.
Elio Germano: il romanzo è molto ben congegnato negli eventi, noi li abbiamo umanizzati e riportati alla quotidianità per avvicinarli al pubblico. Il film si racconta più in quel che non vediamo e che i personaggi non dicono, è stato molto interessante.

Calarsi in un personaggio di questo tipo è stato liberatorio oppure una sofferenza?
Elio Germano: non è facile rispondere, c'è sempre confusione nella costruzione di un ruolo. Qui ho voluto decostruire per lasciare uno spazio aperto al personaggio, la possibilità - per lui - di stupirsi. Non volevo prevedere, e ho scelto di scavare piuttosto che edificare, dando vita ad un ritratto non da giudicare. Piuttosto che fare la morale, liberarlo quindi, lasciarlo felice, proprio quando è meno piacevole per il pubblico. Perchè necessita di "essere", mentre fino a quel momento la sua vita era legata al "sembrare". Un passaggio liberatorio.

Qual'era l'interesse a farne un film di genere, e quali sono le opportunità che offre?
Daniele Vicàri: dopo oltre 100 anni di storia del cinema, credo sia superato il tema dei generi, abitualmente si mescolano in modo inestricabile. Sono definizioni di comodo, il problema è se il racconto produce "senso". Mi è sembrato immediatamente ovvio che bisognasse fare delle scelte radicali, e per fortuna non ero solo, gli sceneggiatori hanno indirizzato il racconto proprio verso il senso.
Massimo Gaudioso: il libro era su due piani, molto ricco. Dovevamo quindi eliminare la parte dell'indagine poliziesca: una scelta netta, difficile, concentrandoci sul rapporto tra i due protagonisti, dove era presente l'aspetto più interessante dell'identità.
Francesco Carofiglio: era necessario tagliare per concentrarci sul tema del doppio e sull'attaccamento morboso tra i due.
Gianrico Carofiglio: nella sceneggiatura bisogna accettare regole brutali, ed io l'ho fatto. Quando ho visto il film, ho provato quello che provano gli spettatori, cercando di dimenticare la paternità dell'opera. E mi è piaciuto molto. E' diverso dal libro, ma non del tutto. Credo che i film troppo simili ai libri da cui sono tratti siano piatti, e che non valga la pena vederli. La narrazione serve a dar senso al caos delle esperienze, il genere è un mezzo. Sciascia per esempio accettava la camicia del giallo che gli avevano messo addosso, la sua intenzione era tenere il lettore attaccato al testo fino alla fine.

Avete provato disagio per la violenza?
Valentina Lodovini: ho trovato un clima di lavoro molto sereno, accogliente. Ho trovato due persone straordinarie - una è Elio - che mi hanno fatto sentire a mio agio. Poi è subentrata la tensione, è accaduto quel "qui ed ora" che ci si augura sempre. Temevo le scene di violenza, perchè le ritengo sempre un pericolo sia per la macchina da presa che per il pubblico, ma Daniele le ha trattate con garbo e in modo raffinato. Abbiamo fatto molte prove, come a teatro, e per la preparazione siamo stati da un maestro d'armi.
Maria Jurado: avevo molta paura. Ho lavorato con il trainer e mi sono sentita tranquilla. Quando il lavoro è finito mi sono sentita perduta. Credo sia importante vedere questa violenza al cinema, come specchio della realtà, perchè di solito viene censurata mentre in televisione è molto presente. Sono felice di aver partecipato al film, mi ha cambiato qualcosa dentro.
Romina Carrisi: sul set mi sono trovata molto bene. La violenza sul mio personaggio è psicologica, Giulia dopo esser stata lasciata si perde.
Daniele Vicàri: ho scoperto che le scene violente o sono studiate come una danza o non funzionano. Gli attori ne hanno imparato i passi con assoluta precisione, guidati da un grande stunt man, e non si sono fatti male. Tranne un pugno preso da Elio, che però si è ripreso presto. Questa danza porta armonia, e le scene assumono un senso, altrimenti non danno emozioni.

Come è stato lavorare con un regista di film finora molto al maschile?
Chiara Caselli: il mio è un personaggio maschile, ha una doppia vita: rispettabile di giorno, sposata e probabilmente buona madre, di notte giocatrice. In questo sdoppiamento trova un suo equilibrio e protegge entrambe le sue vite ponendo dei limiti molto precisi. Quando l'amante si avvicina alla sua villa quando non deve, lo allontana dicendogli: "stai al tuo posto". Un ruolo molto interessante.

Dal punto di vista produttivo?
Domenico Procacci: la lavorazione del film è coincisa con la nascita dell'Apulia Film Commission, e questo ha fatto la differenza. Ci ha aiutato molto, non solo nella logistica. La produzione ha avuto un percorso tortuoso, all'inizio c'erano altri due produttori che poi si sono fermati e siamo subentrati noi. RAI cinema era già interessata al progetto ed è stata un pilastro fondamentale, e inoltre c'è stato un intervento del Ministero.

Sul divieto ai 14 anni?
Daniele Vicàri: la censura è una forma di sopravvivenza del Medioevo, ipocrita e fallace, l'ho scoperto quando da piccolo riuscivo ad entrare al cinema per vedere film vietati, che per me sono stati i più belli e quelli su cui mi sono formato. In Italia, i film migliori sono stati quelli vietati almeno ai 16 anni. Se ancora si sente il dovere di proteggere cittadini scemi, abbiamo qualche problema di fondo. Basterebbe indicare nella pubblicità di un film che non è adatto ai minori.

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