The great raid - Un pugno di eroi
Gennaio 1945, Filippine. La Seconda guerra mondiale ormai sta volgendo al termine ed il generale MacArthur guadagna sempre più terreno. I giapponesi sono in ritirata e non vogliono lasciare vivi i soldati prigionieri, molti dei quali già sopravvissuti alla terribile "Marcia della morte di Bataan" (giugno 1942). Seppur la postazione del campo di prigionia non ricopra nessuna importanza strategica e il tentativo appaia disperato, gli americani organizzano una missione per salvare i propri connazionali che entrerà nella storia con il nome di "Il grande raid di Cabanatuan".

Una storia vera quindi con tanto di sceneggiatura tratta da due libri ("Il grande raid di Cabanatuan" e "Soldati fantasmi"), la cui produzione è stata parecchio tribolata. Previsto per il 2003, il film è stato più volte rimandato fino all'estate scorsa quando l'allora imminente divorzio tra Miramax e Disney ha obbligato tutti i progetti in "stand-bye" ad essere portati a termine. Questa almeno la versione ufficiale, visto che quando si fa un film di guerra tanti e facili sono i riferimenti al presente voluti o non, che molte sono le ragioni in grado di influenzare la scelta dell'eventuale uscita nelle sale che vanno oltre l'aspetto commerciale. In questo caso l'obiettivo del film, oltre quello di narrare un importante fatto storico, è volto a stringere gli spettatori intorno a degli eroi senza macchia che rischiarono la propria vita in nome dell'altruismo. Intenzioni retoriche quindi, ma non per questo aprioristicamente negative.
Ma se non è il messaggio ad essere negativo, lo è purtroppo "il linguaggio", il "come" si è raccontata la storia. Infatti perché si arrivi al famoso raid nel campo giapponese, perché si possano vedere finalmente questi soldati sacrificarsi in nome di un ideale, perché i brividi possano scendere lungo la schiena e gli occhi luccicare (?) tocca assistere a circa un'ora e quaranta (il film è di 132 minuti) di frasi smielate, situazioni melodrammatiche ad alto tasso noia e banali stereotipizzazioni dei cattivi giapponesi (con un capo che pare uscito da un film di arti marziali di Honk Hong). Non giova oltretutto alla credibilità dei personaggi, le facce eternamente pulite dei soldati, il trucco e la permanente (vedasi finale) della protagonista femminile Connie Nielsen (Il gladiatore), la signorile sofferenza di un Joseph Fiennes che malato scrive pensierini alla Shakespeare in love. Non tutto comunque è da buttare: quando arriva finalmente l'azione, la regia di John Dahl (fino a lì parecchio anonima ed incapace nella creazione di tensione) si fa più sicura, e complice un buon montaggio riesce ad essere coinvolgente e chiara (grazie soprattutto alla combinazioni delle diverse soggettive dei soldati impegnati nell'assedio).
Il film negli States è stato un buon successo di pubblico, da noi esce in estate. A voi le considerazioni...

La frase:
- "Io le sto offrendo un futuro"
- "Il mio futuro non è nelle sue mani"

Andrea D'Addio

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